Nel mese di marzo è stato presentato il rapporto dell’Intergovermental Panel on Climate Change (IPCC), il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, allo scopo di studiare il riscaldamento globale e la crisi climatica.
Roma – Il titolo del rapporto avrebbe potuto essere: “Non c’è tempo da perdere!” per diminuire le emissioni di gas serra e porre un argine al riscaldamento globale che andrà oltre il livello di sicurezza, pari a 1,5° C. Dopo questa soglia, non si potrà fare molto, perché l’efficacia di qualunque nostro intervento per mitigare la crisi climatica sarà depotenziata.
Ci sono voluti ben 6 anni per stilare il rapporto, grazie al lavoro di tanti scienziati di tutto il mondo e offre un quadro esauriente su cosa si può ancora fare, nonostante tutto, per tamponare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Innanzitutto una politica concreta verso le energie rinnovabili (solare ed eolica) e la promozione capillare dell’efficienza energetica. Oltre a ciò è urgente adottare la tassazione dell’anidride carbonica (CO2) e disciplinare le emissioni di gas serra. Infine mirare alla conservazione delle foreste e delle aree verdi, importanti per l’assorbimento delle emissioni di carbonio e proteggere la biodiversità.
Bisogna fare in fretta, non c’è tanto tempo per agire. Il rapporto non è solo un elenco di doglianze sulla crisi climatica, ma anche una sorta di guida quando insiste verso la transizione a favore delle energie rinnovabili. Le temperature, in media, sono cresciute di 1,1° C dal periodo preindustriale. A dimostrazione che gli impegni sottoscritti per mitigare il riscaldamento globale, sono stati presi all’acqua di rose. Per dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e azzerarle entro il 2050, bisogna bloccare nell’immediato la gran parte delle infrastrutture baste sull’estrazione o sull’utilizzo di combustibili fossili. Si tratta di grandi gruppi che hanno un’influenza decisiva nelle decisioni politiche a livello globale. Gli Stati avranno la forza politica di attuare quello che consiglia l’IPCC?
Sorgono molti dubbi a proposito. I vantaggi di una migliore qualità dell’aria potrebbero riguardare la salute dei cittadini, i trasporti ad emissioni zero. Per un programma del genere c’è bisogno di investimenti, soprattutto per i Paesi a basso reddito e quelli insulari, i più esposti agli effetti devastanti del clima. Una stima dell’IPCC ha previsto che sono necessari da 3 a 6 volte i 600 miliardi di dollari che vengono investiti annualmente per la transizione ecologica. Il rapporto alla fine lascia una flebile speranza.
Innanzitutto, un temporaneo superamento della soglia di 1,5° C non deve provocare panico, se si tiene, però, presente che più è grande la durata e l’entità della crescita della temperatura, più gli impatti e i rischi saranno letali sugli ecosistemi e la società nella sua interezza. Quindi la capacità di difendere il Pianeta dipende dalle decisioni che vengono prese ora. E noi dobbiamo fidarci di una classe politica che a livello planetario ha dimostrato, finora, solo di raccontare frottole miste a retorica e buonismo, ma nessuna decisione concreta? Restiamo, comunque, fiduciosi, che qualcosa si muova.