I salari italiani continuano ad essere il fanalino di coda in Europa: non crescono mai. Il monte ore lavorative si accorcia ma non per scelta del lavoratore. E intanto l’esecutivo è in crisi. In attesa del fatidico mercoledì 20 luglio.
Roma – I salari degli italiani sempre più miseri. In Italia si fa un gran parlare, da decenni, di costo del lavoro, che rappresenta uno dei costi della produzione di un’azienda. Si è diffusa la teoria secondo cui sarebbe uno degli impacci allo sviluppo economico e, quindi, dell’occupazione. In linea generale il costo del lavoro è l’ammontare delle spese sostenute da un’azienda per pagare i propri dipendenti. Tra queste sono da ricordare: la retribuzione, al netto delle imposte, corrisposta al lavoratore; contributi sociali a carico del lavoratore e quelli a carico dell’azienda. Ora, un altro refrain che gira da un po’ è quello del taglio del cuneo fiscale.
Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), si tratta della: differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta del lavoratore. Questa differenza, a parere dei più, in Italia risulta molto alta a causa del peso eccessivo della tassazione sul lavoro. Non ci dobbiamo troppo stupire, dunque, se gli stipendi medi degli italiani confrontati con quelli di economie equiparabili come Francia e Germania, sono molto più bassi. Il salario medio di un lavoratore italiano è pari a 29440 euro, sotto il livello del 2019. Risulta essere 15mila euro inferiore di un tedesco e 10mila di un francese, ma anche al di sotto al livello medio dell’Eurozona pari a 37400 euro.
Questi dati sono stati diffusi dalla: Fondazione Di Vittorio della Cgil. Il divario tra salari italiani è il resto d’Europa si è allargato di 2000 euro con la Germania e di 1000 con la Francia. Però l’alleggerimento delle buste paga non è un fenomeno solo degli ultimi anni. Questa tendenza, infatti, risale a più di trent’anni fa. In questo periodo i nostri salari sono calati quasi del 3%, mentre quelli di Francia e Germania sono cresciuti più del 30%. Secondo l’economista e studioso di scienze sociali Nicolò Giangrande che ha curato lo studio della Fondazione Di Vittorio, è la particolarità del mercato del lavoro dell’economia italiana che crea questi scompensi con i due Paesi presi in esame.
Innanzitutto, è composto da un numero elevato di lavori poco qualificati: siamo secondi solo alla Spagna, con percentuali che sono il doppio della Germania e tre volte maggiori della Francia. Al contrario, ci sono meno professioni qualificate. L’anno scorso in Italia, infatti, la quota di dirigenti, professioni intellettuali e scientifica è stata di molto inferiore a quella di Francia e Germania. La precarietà, invece, ci fa primeggiare in Europa: non ce n’è per nessuno! Nel 2021 la quota di dipendenti a termine sul totale dei lavoratori dipendenti ha raggiunto la percentuale del 16,6% e tra questi, gli occupati con orario part-time involontario il 62,8. Con quest’ultima locuzione, l’Istat rileva il numero di occupati con orario ridotto che accettano un lavoro di questo tipo, in assenza di uno a tempo pieno.
Orario ridotto, ma non per scelta! L’argomento è molto delicato e come accade in questi casi, i pareri sono discordi. Confindustria, ad esempio, ritiene che i salari italiani sono bassi perché legati alla produttività molto bassa. Le organizzazioni sindacali, al contrario, mettono l’accento sulla mancanza di una vera politica dei redditi e di un fisco che distribuisca meglio la ricchezza. Per non tacere della grande evasione ed elusione fiscale che sottraggono ingenti risorse finanziarie allo Stato. In uno o nell’altro caso, il risultato non cambia: gli stipendi sempre più bassi e le tavole sempre più vuote!