La scomparsa di Emanuela Orlandi è stata fonte di guai anche per alcune amiche e compagni di scuola. Le loro vite sono state sconvolte da intimidazioni, violenze fisiche e psicologiche sino alla fuga all’estero. La verità nelle loro confidenze?
ROMA – Sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si sono scritti fiumi d’inchiostro senza addivenire a nulla di concreto. Per decenni il caso è stato chiuso e riaperto sino alle ultime indagini delle autorità vaticane e della Procura capitolina. L’unica cosa certa è che la sparizione della cittadina residente nella Santa Sede ha coinvolto decine di persone, appartenenti al mondo clericale, della politica, esoterismo, criminalità e persino dei servizi segreti italiani e stranieri. Dunque a monte del rapimento c’è stata un’organizzazione di delinquenti, con cravatte e senza, che ha studiato a tavolino il sequestro della giovane, e forse anche di altre ragazzine, per poi passare di mano la patata bollente per depistare e confondere le acque che rimangono torbide e nauseabonde sino ad oggi.
Basti pensare che anche le amiche della Orlandi, la “ragazza con la fascetta” sparita a Roma il 22 giugno 1983, hanno avuto una vita assai tormentata. Stessa cosa per alcuni suoi compagni che Emanuela frequentava meno assiduamente. Raffaella Monzi, compagna della scuola musicale di Sant’Apollinare, l’ultima a vedere Emanuela da viva, era stata pedinata per mesi se non per anni. Emanuela al termine della lezione di canto, intorno alle 19 del 22 giugno 1983, raccontò a Raffaella di 4 anni più grande e residente in via Panisperna, di aver ricevuto una “improbabile” proposta di lavoro per distribuire volantini della ditta di cosmetici Avon. La distribuzione sarebbe avvenuta il sabato successivo durante una sfilata di moda che si rivelerà inesistente ed il compenso, esorbitante per l’epoca, sarebbe stato di 375mila lire.
Per aver rivelato queste confidenze e per paura di fare la stessa fine dell’amica Raffaella si sarebbe ammalata ed oggi, a 59 anni suonati, la bella ragazza con i capelli ricci e biondi sarebbe ospite di una struttura psichiatrica in provincia di Roma. Anche la famiglia, per timore di ritorsioni, si sarebbe trasferita a Bolzano ma appostamenti e pedinamenti non si erano esauriti tanto che un giovane aveva proposto a Raffaella di fuggire con lui. Nessuna di queste persone sarebbe stata mai identificata. Poi è stata la volta di Silvia Vetere, oggi di 55 anni, compagna di classe di Emanuela al II liceo scientifico del Convitto nazionale, con altre confidenze messe a verbale il 22 luglio 1983 e 11 novembre 2008:
“Emanuela aveva intenzione di trovarsi un lavoro – riferiva Vetere agli investigatori – Non aveva voglia di studiare e faceva sega a scuola…Era un po’ ribelle e con poca voglia di stare sui libri, cosa d’altronde palesata dalle due materie come latino e francese, con un 4 e un 5, nelle quali era stata rimandata a settembre e dalla sfilza di 6 restanti…I professori le chiedevano cosa volesse fare e lei rispondeva che aveva intenzione di cercarsi un lavoro”.
Dunque la ricerca di un lavoro in alternativa agli studi appare evidente e ricorrente nelle aspettative di Emanuela. Forse qualcun altro sapeva delle sue aspirazioni e ne avrebbe approfittato attirandola in un tranello. Può essere, del resto sul caso si sono fatte mille congetture. Emanuela però dice di più alla sua amica Silvia:
”Non mi vedrete per un po’…”. La frase finirà sulla stampa, più esattamente sul quotidiano L’Unità del 13 luglio 1983, e da allora per la ragazza sarebbero iniziati i guai. Grosso modo gli stessi patiti da Raffaella Monzi. La ragazza, oggi adulta e della quale non si hanno più notizie, a detta di alcuni parenti sarebbe stata vittima di un sequestro e trasferita in una clinica psichiatrica per impedirle di ripetere ciò che sapeva su Emanuela Orlandi. La donna, diventata teste scomoda come l’altra amica, avrebbe subìto una sorta di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) illegale con frequenti ricoveri, trattamenti farmacologici, posta sotto narcosi e oggetto di chissà quali terapie debilitanti addirittura in una struttura per tossicodipendenti.
Gli stessi parenti non sanno più nulla di Silvia ma è indubbio che la donna, qualora dovesse confermare quanto messo a verbale 40 anni fa, sarebbe del tutto inattendibile e ammesso che sia nelle condizioni di ricordare e parlare. Poi c’è Pierluigi Magnesio, 55 anni, compagno di classe di Emanuela e di Silvia, di lui si sa poco. Troppo poco. L’allora ragazzino, anche lui cittadino vaticano e figlio di un elettricista dipendente della Santa Sede, avrebbe chiamato per telefono la famiglia Orlandi dopo tre giorni dalla scomparsa di Emanuela di cui sarebbe stato innamorato.
Ad essere convinto che all’altro capo del filo ci fosse il compagno di classe di Emanuela era stato l’allora sostituto procuratore generale Giovanni Malerba. Il magistrato ipotizzò il suo coinvolgimento, perché minacciato da qualcuno, durante la sua requisitoria dell’agosto 1997:
“…Non sembra azzardata l’ipotesi che il – Pierluigi – delle prime tre telefonate possa identificarsi nel predetto Magnesio Pierluigi – diceva in aula il magistrato inquirente – l’età del giovane al momento del fatto induce senz’altro ad escludere il suo consapevole e volontario coinvolgimento nel sequestro; e tuttavia, ove il telefonista Pierluigi si identificasse nel Magnesio, dovrebbe inferirsi che questi fosse stato contattato dai sequestratori e indotto, verosimilmente con minacce, a effettuare le prime telefonate in funzione di depistaggio. Ove così fosse, ancora oggi il Magnesio potrebbe fornire utilissimi elementi per l’identificazione dei sequestratori. Appare pertanto utile, se non necessario, approfondire l’indagine sul punto…”.
Si tornerà a parlare di Pierluigi Magnesio in occasione della trasmissione “Telefono Giallo“, del 27 ottobre 1987, condotta da Corrado Augias. Durante il noto programma di giallistica, uno dei più importanti della Rai, giunse in redazione una telefonata:”Buona sera, sono Pierluigi. Se parlo, mi ammazzano“. In studio in molti si interrogarono: era ancora Magnesio? Era la sua voce? La registrazione finì in Procura e gli inquirenti si dissero certi che quella voce era proprio quella di Pierluigi, il compagno di classe di Emanuela. Anni dopo pare che Magnesio abbia subìto intimidazioni e reiterate minacce, prima di fuggire all’estero. Che cosa gli é accaduto? Chi erano i suoi persecutori? Gli stessi che hanno rovinato la vita a Raffaella Monzi e Silvia Vetere?