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Quando c’è da spartirsi i soldi, ogni coppia è… appagata!

A volte si leggono notizie che strappano un sorriso tra stupore e ironia. Tra queste c’è quella di un ateneo statunitense che, in base ad una ricerca, ha desunto che condividere le finanze migliora la coesione di coppia. Ma è veramente così?

Roma – L’Università del Colorado, Stati Uniti d’America, è giunta al risultato che “avere il conto bancario in comune per una coppia produce una maggiore soddisfazione relazionale”. E una volta, i poveri comuni mortali, per giustificare la loro grama esistenza si convincevano che “i soldi non facessero la felicità!”. Beh, se non la fanno quantomeno sembrano utili per prevenire crisi di coppia.
Com’è noto, tutti, più o meno, siamo stati vittime del sacro impeto della passione amorosa, in cui ci si convince di poter condividere in due qualsiasi momento della giornata. Poi passa il tempo e… le prime difficoltà emergono per la condivisione delle spese domestiche. In un secondo momento ci si chiede se sia utile avere un conto corrente in comune. I ricercatori Garbinsky e C. Mogilner hanno pubblicato un articolo sulla rivista Journal of Personality and Social Psycology, in cui emerge che condividere i cordoni della borsa aiuta a migliorare la relazione di coppia.
In realtà, condividere le finanze sembrerebbe favorire gli abusi nella coppia.
Questo risultato ha fatto storcere il naso al management della banca digitale del Regno Unito, Monzo. Dopo una rapida indagine, infatti, sembra che a crescere, in un conto in comune, non sia la soddisfazione della relazione, quanto gli abusi. I soprusi non sono solo fisici e psicologici, ma anche economici e si manifestano in un eccessivo controllo dei movimenti bancari, minacce di bloccare le risorse economiche e di non poterle utilizzare a piacimento. Questa situazione è più critica quando nella coppia c’è un componente che percepisce uno stipendio più alto dell’altro. In questo caso la gestione separata eviterebbe che la donna, quasi sempre la parte più fragile della coppia poiché, spesso, espleta lavori precari, sottopagati o part-time, restasse succube del compagno/marito, in quanto si libererebbe di ricatti di vario tipo.
Il fenomeno si è talmente esteso che la banca ha attivato una chat che dialoga con gli utenti che stanno patendo questo tipo di disagio. La prevaricazione economica, spesso, è infida ed ambigua, un’arma in mano al partner economico più forte. Le vittime, nella gran parte dei casi, sono casalinghe ricattate con la minaccia di perdere casa, soldi e protezione. Inoltre, molte donne decidono di dedicarsi alla casa e alla famiglia, nonostante abbiano un lavoro, seppur precario. L’aumento dei costi è uno de fattori che incide sulla decisione, ma in questo modo è come consegnarsi in toto all’aguzzino di turno, marito o compagno che sia. Quest’ultimo, infatti, assume atteggiamenti da satrapo, vuole gestire le spese della casa, vietando alla donna qualunque tipo di autonomia.
È ancora lunga la strada verso la parità di genere.
Per contrastare questo fenomeno, molte aziende, associazioni non profit e banche tengono corsi di educazione finanziaria sin dalle scuole primarie, in quanto l’autonomia economica è sinonimo di libertà, anche per le donne. Sotto un certo punto di vista sembra non essere mutato alcunché nella struttura socio-economica, se non il vestito con cui ci si presenta. Una volta, quando a lavorare erano soltanto, nella stragrande maggioranza, gli uomini, le donne stavano a casa ad accudire i figli e pensare alla casa. Nella migliore delle ipotesi, se il marito era generoso, poteva gestore le risorse economiche. Ma per il resto doveva sottostare alla volontà del marito padrone. Tutto già scritto e visto. Niente di nuovo, purtroppo. Si assiste, impotenti, al ritorno di certi malsani atteggiamenti sociali duri da debellare.                                    .
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