Quali saranno i rischi delle tecnologie digitali nei prossimi 15 anni

Un’equipe di ricercatori inglesi ha utilizzato la tecnica del “metodo Delphi”, un sistema d’indagine iterativa, cioè ripetuta più volte. 

Roma – La digitalizzazione procede a passo spedito. Ormai nella società, nel lavoro e nell’economia è un fatto acclarato. Finanche la banale vita quotidiana non sfugge ai suoi tentacoli. I fautori della nuova rivoluzione ne tessono le lodi e ne cantono i peana, ma i rischi sono molti, più infidi quanto più essa si diffonde. Un’equipe di ricercatori inglesi ha realizzato uno studio di previsione dei rischi per i prossimi 15 anni, pubblicato sulla rivista “Computer”. E’ stata utilizzata la tecnica denominata “metodo Delphi”, un metodo d’indagine iterativo, cioè ripetuto più volte. 

In pratica è una tecnica usata per ottenere risposte ad un problema, da un gruppo (panel) di esperti indipendenti attraverso due o più fasi. Secondo gli studiosi le due tecnologie molto dibattute tra l’opinione pubblica, la “blockchain” (catena di blocchi, un grande registro elettronico) e i “computer quantistici”, non dovrebbero produrre rischi consistenti. Nel primo caso si assisterà ad una rivoluzione della “finanza” e come si scambiano le azioni di borsa. Nel secondo caso i rischi sono prossimi allo zero, in quanto si prevede che nei prossimi 15 anni non ci sarà uno sviluppo diffuso di queste tecnologie. Una criticità emersa e dovuta alla crescente difficoltà di distinguere il vero dal falso in seguito alla diffusione dell’Intelligenza artificiale (AI). Si propagheranno nella rete news, video e foto falsi, da cui potrà nascere una lotta senza quartiere tra AI destinate alle fake news e quelle per stanarle.

Una sorta di sfida tra “guardia e ladri” in versione tecnologica. Il rischio è che questo scontro potrà avere serie conseguenze sulle democrazie, perché il pubblico si troverà disorientato nella ricerca delle informazioni che viaggiano in rete. I sistemi informatici diventeranno sempre più complessi e numerosi. Farli coesistere è il punto più critico, in quanto poiché cresceranno e si moltiplicheranno, aumenteranno anche le problematiche, per cui potrà essere più complicato riconoscere azioni di sabotaggio e hackeraggio. Ora, senza voler proporre scenari dispotici, gli esperti suggeriscono delle contromisure. Innanzitutto, i software del futuro dovranno avere sistemi di sicurezza integrati per monitorare in maniera autonoma la loro efficienza per capirne i problemi e risolverli. Inoltre, gli interventi necessari dovranno riguardare progetti sia sociali che culturali. Ci dobbiamo abituare ad una vita sempre più interconnessa e dipendente dall’uso di dispositivi tecnologici. La digitalizzazione ci seguirà ovunque, comunque e in ogni luogo.

Nemmeno al cesso avremo più un nostro momento, come cantava il cantautore Francesco Guccini nel 1976 nell’ “Avvelenata”! Importante sarà la formazione e l’educazione dei cittadini che dovranno aiutarli a convivere con le enormi possibilità della tecnologia e ad essere preparati ai pericoli, sempre in agguato. Un ruolo importante lo avranno le istituzioni che dovranno garantire trasparenza e sicurezza attraverso norme e legislazioni ad hoc. Senza dimenticare investimenti pubblici e privati nell’IA per il suo sviluppo e utilizzo responsabile, oltre all’impegno da parte dei mass media alla verifica delle fonti. Quest’ultimo aspetto è un invito superfluo, perché dovrebbe far parte della “natura” del giornalismo, altrimenti giornalismo non è.

E’ qualcos’altro. Gli esperti hanno sostenuto che se venissero attuati i loro propositi, sarà più facile ricavare benefici per tutta la società e neutralizzare i rischi. Gli studiosi forse hanno peccato di ottimismo. Una volta a una persona che argomentava in maniera un po’ bislacca su progetti di difficile, se non impossibile, realizzazione, veniva chiesto: “Che ti sei…fumato?”. Sicuramente non sarà il caso degli studiosi inglesi, ma è un modo per dire che con la classe politica che abbiamo i consigli dati non possono che trasformarsi in fantasticherie!

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