I medici di emergenza: ogni paziente “parcheggiato” al ps causa in media un ritardo di 12 minuti sugli accessi successivi. Oltre le 12 ore, la possibilità di decesso cresce fino al 4,5%.
Il congestionamento dei pronto soccorso negli ospedali italiani rappresenta una crisi sistemica che incide direttamente sulla mortalità dei pazienti. Ogni paziente bloccato in attesa di trasferimento in reparto – il cosiddetto “boarding” – causa un ritardo medio di 12 minuti sugli accessi successivi, aumentando fino al 4,5% la probabilità di decesso nei casi più estremi. Questo scenario, definito una “situazione esplosiva” dal presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza (SIMEU), Alessandro Ricciardi, è aggravato dalle festività, quando il pronto soccorso – mancando totalmente l’apporto dei medici di famiglia – diventa l’unica opzione per molti pazienti.
Il “boarding” e i suoi effetti
In effetti il “boarding” – il prolungato stazionamento dei pazienti nei pronto soccorso in attesa di un posto letto – è un indicatore di grave disorganizzazione sanitaria. Questo ritardo si traduce infatti in un sovraffollamento delle aree di attesa, degenza e osservazione, creando una catena di difficoltà che penalizza sia i pazienti sia il personale medico.
Studi recenti evidenziano che il “boarding” provoca una serie di criticità, tra le quali l’allungamento ingiustificato dei tempi di attesa per la visita medica, l’incremento delle complicanze di malattia, sia nei pazienti ospedalizzati sia in quelli dimessi al domicilio, e la riduzione dell’efficienza nella gestione dei nuovi arrivi. Un fenomeno che peggiora ulteriormente durante le Feste. “Non si riescono a trovare i posti nei reparti, ed è evidente che chi ha bisogno di assistenza si trova in difficoltà, con un’assistenza non adeguata” spiega Ricciardi.
I risultati sono catastrofici. Secondo dati SIMEU, la mortalità tra i pazienti in “boarding” aumenta dal 2,5% al 4,5% quando il tempo di attesa supera le 12 ore, un evento tutt’altro che raro.
La crisi del personale sanitario
La carenza di personale sanitario aggrava ulteriormente la situazione. A partire dal 2008, la crescita del numero di operatori si è arrestata, e tra il 2019 e il 2022 il ricorso a contratti a tempo determinato è aumentato del 44,6%. Questo modello lavorativo precario ha portato al burnout il 52% dei medici e il 45% degli infermieri, con le donne particolarmente colpite. Nonostante rappresentino il 67% del personale sanitario, solo il 19,2% delle donne-medico raggiunge posizioni apicali.
A peggiorare il quadro, le retribuzioni medie dei sanitari italiani sono inferiori del 22% rispetto ai colleghi OCSE, un divario che penalizza anche gli infermieri. Questa condizione economica, unita allo stress cronico, ha portato molti professionisti a lasciare il settore, minando ulteriormente l’efficacia del sistema sanitario.
Escalation di aggressioni e clima di tensione
Per non parlare delle aggressioni al personale sanitario, aumentate del 38% negli ultimi cinque anni, con 18.000 episodi registrati solo nell’ultimo anno. Una situazione che, rileva Riccardi, diventa ancora più critica durante le feste, “segno di un problema costante sull’aggressività dell’utenza”. Il riferimento è agli ultimi episodi di aggressione che hanno colpito diversi operatori sanitari proprio a inizio anno: a Roma alcune dottoresse e infermiere sono state malmenate dai pazienti in attesa nel pronto soccorso; a Torre del Greco sono volati insulti e minacce. A Catania un paziente si è presentato con un finto medico nel tentativo di agevolare il ricovero, ma è stato scoperto, quindi è scattata l’aggressione a due medici della struttura. E giusto ieri a Napoli una dottoressa è stata aggredita da una 41enne, poi finita ai domiciliari.
Il 45% delle vittime di queste aggressioni è donna, e il 60% subisce minacce verbali, mentre il 20% è vittima di percosse. Il 10% delle aggressioni coinvolge atti di vandalismo o violenze a mano armata.
Questo clima esasperato non risparmia nessuna categoria: medici, infermieri e tecnici si trovano a lavorare in un contesto “elettrico”, che complica l’esecuzione delle mansioni quotidiane e aumenta il rischio di errori. La mancanza di personale e risorse adeguate si somma all’organizzazione deficitaria dei servizi, contribuendo a generare un senso di frustrazione tra i pazienti, che spesso riversano il loro malcontento sui sanitari. In alcune regioni, come la Lombardia, è stato introdotto il braccialetto anti-aggressioni (utilizzato da pochi giorni all’ospedale di Vigevano), ma molto ancora resta da fare agire per tutelare gli operatori sanitari, come denunciano da tempo tutti i sindacati di categoria.
Non solo burnout: fattori di rischio e conseguenze
Le principali criticità strutturali e organizzative includono dunque organici insufficienti, lunghe attese e affollamento, la mancanza di informazioni adeguate e difficoltà nella comunicazione e orari di lavoro estenuanti.
Le conseguenze di questa situazione malsana sono estremamente gravi. Come evidenzia Simeu, si rischiano lesioni fisiche e disabilità temporanee o permanenti tra il personale sanitario, traumi psicologici e sindrome da burnout, e non da ultimo l’aumento del rischio di errori medici, con inevitabili ripercussioni – a volte gravissime o addirittura irreparabili – sulla salute dei pazienti.
Innovazione e riorganizzazione: le possibili soluzioni
Mentre il quadro attuale è critico, ci sono margini per il miglioramento. Le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, la telemedicina e la robotica, possono rivoluzionare la medicina d’urgenza, ottimizzando i flussi di lavoro e riducendo il carico sul personale. Tuttavia, queste innovazioni richiedono investimenti significativi in formazione e infrastrutture.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) offre un’opportunità unica per affrontare queste sfide, ma è necessario un impegno concreto per migliorare la gestione del “boarding” con soluzioni organizzative efficaci. Al centro dell’attenzione dovrebbe però esserci anche la sicurezza nei luoghi di lavoro, per prevenire aggressioni e garantire condizioni dignitose per i sanitari. Infine il reclutamento e la stabilizzazione del personale, riducendo il ricorso al lavoro flessibile.
La crisi dei pronto soccorso italiani riflette le carenze strutturali di un sistema sanitario sotto pressione. Affrontare il fenomeno del “boarding”, garantire la sicurezza del personale e investire in nuove tecnologie sono passi indispensabili per costruire un sistema sanitario più efficiente e umano. Senza interventi rapidi e mirati, il rischio è quello di un ulteriore deterioramento delle condizioni di lavoro e dell’assistenza ai pazienti, con costi umani e sociali incalcolabili.