A Camere sciolte si approva il decreto per il docente esperto. Figura professionale con ben 9 anni di preparazione, peccato che la maggioranza degli insegnanti tra 10 anni sarà in pensione. Ma c’è di più.
Vade retro, docente esperto! Il dimissionario governo Draghi, in carica per gli affari correnti, ha approvato il decreto Aiuti bis, che prevede aumenti per stipendi e pensioni, tagli sulle bollette e sulle accise dei carburanti, nuovi bonus per la formazione degli insegnanti e detassazione per i benefit aziendali. A parte l’insoddisfazione dei sindacati per gli aumenti considerati bassi, si è registrata una forte contestazione da parte del mondo della scuola, contrario alla nuova figura del docente esperto, introdotta dal decreto in questione.
Quando si parla di scuola in Italia è come toccare un nervo scoperto. La sinistra e con essa i sindacati si arroccano dietro una generica salvaguardia della scuola come bene pubblico, tralasciando altri aspetti quali merito, professionalità e sapere. D’altro canto, la destra sembra essere attratta dalla vaga idea di scuola come azienda, per cui il sapere sarebbe fortemente condizionato da interessi confindustriali. La figure del docente esperto ha subito l’ira funesta del gruppo Facebook “Professione Insegnante”. I membri del gruppo hanno lanciato una petizione per chiederne, ipso facto, l’abolizione. Secondo il battagliero gruppo, la figura del docente esperto andrebbe cancellata, perché prevede un percorso formativo di ben 9 anni, dopo i quali ci sarà una selezione.
Inoltre, non si specifica come avverrà la selezione dei docenti dopo aver compiuto tutto l’iter formativo. Soprattutto, dicono i firmatari della petizione, non è chiaro come e da chi verrà valutato l’unico esperto della scuola. Infine, altro punto contestato è il numero previsto, 8mila, pari ad uno per ogni istituto. Secondo i contestatori, non sarebbe esplicitata la materia in cui si è esperti e nemmeno quale sarebbe l’apporto innovativo per la scuola in cui lavora. Infine, i costi dei percorsi formativi saranno a carico del docente interessato e da effettuarsi in ore non lavorative. Per essere, poi, sottoposti, alla valutazione della Scuola di Alta Formazione della pubblica istruzione, che di fatto si comporterà come un tribunale, che giudicherà gli atti formativi.
Poi c’è un altro aspetto contestato, che apparirebbe risibile se fosse una boutade, ma è sconcertante perché corrisponde al vero. Si tratta del fatto che il decreto esclude tutti gli insegnanti che nel 2033 saranno in pensione o prossimi ad esserlo. Questo perché non metterebbe i docenti nelle medesime condizioni di poter accedere all’eventuale premio economico previsto per questa nuova figura professionale. Il 40% degli insegnati italiani ha oltre 52 anni e tra dieci penserebbe alla pensione. Come dire: abolire una legge nata come riforma, perché, fra 10 anni ci saranno quelli che andranno in pensione. Viene da ridere, per non piangere!
Per finire con le cahier de doléance dei petitori, il decreto presenta rilievi di incostituzionalità perché approvato a Camere sciolte. Non rientrerebbe, quindi, negli “affari correnti”, ma in quelli da discutere in Parlamento e con le parti sociali interessate. Ogni volta che in Italia si tenta di mettere mano alla scuola, si allerta con tutte le sue falangi, l’esercito del conservatorismo più bieco. Esso è formato da alti burocrati e portatori di interessi, che si aggrappano a qualunque codicillo giuridico, pur di mantenere inalterato lo status quo, da cui derivano le loro rendite di posizione.