Della strage di Portella della Ginestra meno se ne parla e meglio è. Dopo 76 anni in Italia vige ancora il segreto di Stato sull’eccidio mentre in Inghilterra gli atti dei servizi segreti sono stati declassificati, ma non sono sufficienti per scoprire una verità tuttora scomoda. Giuliano e Pisciotta mentivano sulla strage di Stato?
Palermo – Fra i misteri italiani che nessuna fazione politica ha mai inteso chiarire per convenienza si annovera prepotentemente la strage di Portella della Ginestra che ci riporta a quel tragico 1 maggio di sangue del 1947. Duemila lavoratori provenienti dalla zona di San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi e San Cipirello si riunirono a Portella della Ginestra per protestare contro il latifondo a favore della riforma agraria. I medesimi lavoratori festeggiavano anche la vittoria del Blocco del popolo, ovvero la storica alleanza tra socialisti e comunisti, che giorni prima aveva ottenuto il 32% dei consensi alle elezioni dell’Assemblea regionale siciliana.
Mentre uomini, donne, bambini e anziani festeggiavano brindando e mangiando le colazioni a sacco dal monte Pelavet, un altopiano vicino a Portella, partirono numerose raffiche di mitra che ammazzarono 11 persone, fra adulti e bambini, ferendone altre 27, di cui diverse morirono successivamente per le gravi ferite riportate.
Mesi dopo le indagini dei carabinieri punteranno il dito su Salvatore Giuliano, il bandito indipendentista e capo dell’Evis, quale autore materiale dell’eccidio. Il comandante dell’Esercito volontario Indipendentista siciliano con venti uomini della sua banda avrebbero aperto il fuoco contro la folla inerme. L’ipotesi investigativa venne confermata nel 1950 dalla sentenza della Corte d’Assise, la quale dichiarò che il massacro si sarebbe consumato per mano esclusiva di Giuliano e dei suoi sgherri, senza alcun aiuto esterno.
Giuliano, però, rivelò che non era stato lui l’unico protagonista della carneficina, tirando in ballo i deputati monarchici Giovanni Alliata, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso ed i democristiani Bernardo Mattarella e l’allora ministro dell’Interno Mario Scelba, accusandoli di aver organizzato tutti insieme una riunione logistica e strategica per pianificare il gravissimo fatto di sangue. La Corte riterrà infondate le accuse di Salvatore Giuliano da Montelepre il cui cadavere verrà ritrovato a Castevetrano, nel cortile Di Maria, il 5 luglio 1950.
Il suo amico d’infanzia e luogotenente Gaspare Pisciotta, durante il processo di Viterbo, si accusò della morte di Giuliano tornando sull’argomento e confutando le dichiarazioni del suo capo. Quelle affermazioni, rese con decisione e precisione, segnarono la sua condanna all’ergastolo: “Siamo un solo corpo: banditi, polizia e mafia. Come il padre, il figlio e lo spirito santo”. Durante la detenzione Pisciotta chiese di collaborare con la giustizia. Questa sua ferma volontà gli costo la vita, forse per mano di suo padre. Il “secondo” di Giuliano verrà ucciso da un caffè alla stricnina all’interno della sua cella del carcere Ucciardone di Palermo il 9 febbraio 1954. Dopo la morte di Pisciotta sparirono prove e documenti di quella che, secondo i due banditi, sarebbe stata una “strage di Stato“.
Dopo ben 76 anni gli archivi di Stato rimangono chiusi perchè, indubbiamente, “conviene a tutti” non rendere pubblica la verità. Gli unici atti declassificati sono stati quelli dei servizi segreti inglesi ma il nostro Paese, anche con il governo Meloni, tace. Un silenzio che diventa sempre più assordante ogni anno che passa.
E’ indubbio però che dall’eccidio di Portella il nostro Paese iniziava a subire una sorta di strategia della destabilizzazione degli equilibri del potere che si sarebbe ripetuta negli attentati e nelle stragi degli anni ’70, ’80 e persino ’90 e che sarebbe stata finalizzata all’allontanamento del pericolo comunista dall’Italia. Quello di Portella dunque rimane la chiave di lettura per capire la natura e la realtà dei successivi cinquant’anni, non solo a livello politico, durante i quali bombe, tentati colpi di Stato e misteri, ancora oggi irrisolti, insanguinarono l’Italia uccidendo decine e decine di cittadini. Dalla strage della provincia di Palermo si arrivò a Piazza Fontana, da qui a Piazza della Loggia e alla stazione di Bologna.
Perché dopo tre quarti di secolo la politica italiana non vuole affrontate l’argomento trincerandosi dietro il segreto di Stato? Quella drammatica verità potrebbe destabilizzare ancora oggi il nostro assetto costituzionale? Ciò che si nasconde dietro la prima strage della storia repubblicana potrebbe rappresentare un compromesso per lo Stato italiano? La declassificazione degli atti potrebbe nuocere al nostro sistema politico e istituzionale, compresi ministri e parlamentari in carica? Primo maggio gran giorno di festa…