PRESCRIZIONE: UN PASTROCCHIO ALL’ITALIANA

La legge 3 del 9 gennaio 2019 è destinata ad avere effetti significativi seppur limitati a circa un quarto del complessivo numero dei procedimenti che, annualmente, vengono definiti con la declaratoria di prescrizione del reato.

La prescrizione, essendo un’estinzione del diritto di punire che viene dichiarata dal giudice con sentenza, non dice nulla sull’effettiva responsabilità dell’imputato. In altre parole, la prescrizione non equivale ad assoluzione o condanna e al giudice è semplicemente preclusa la possibilità di giudicare nel merito la responsabilità dell’imputato.

Dal 1° gennaio 2020 la disciplina della prescrizione penale è stata oggetto di una riforma molto contestata, che ne ha modificato notevolmente i connotati. La nuova formulazione dell’articolo 159 del Codice penale, in vigore da tale data, prevede infatti che “il corso della prescrizione si sospende dopo che sia stata pronunciata una sentenza di primo grado o un decreto di condanna”, contraddicendo la pronuncia giudiziale precedentemente espressa.

La legge 9 gennaio 2019, n. 3 è destinata ad avere effetti significativi, anche se limitati a circa un quarto del numero complessivo dei procedimenti che vengono definiti annualmente con la declaratoria di prescrizione del reato. La nuova riforma interessa gli artt. 158, 159 e 160 del codice penale; l’assetto complessivo della disciplina dell’istituto non è modificato, rimanendo quello introdotto nel 2005 con la legge ex Cirielli. Riguarda, invece, solo il profilo – peraltro centrale – del decorso del termine di prescrizione del reato, oggetto di modifiche tanto sul lato della data di inizio del termine quanto, e soprattutto, su quello di scadenza dello stesso.

In Italia esistono pochi istituti giuridici che destano tanto interesse tra l’opinione pubblica come la prescrizione. Quest’ultimo è un istituto giuridico che collega al trascorrere del tempo il verificarsi di determinati effetti giuridici. Se nel diritto civile essa si sostanzia nell’estinzione di un diritto che non è esercitato dal titolare per un periodo di tempo indicato dalla legge (al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici), nel diritto penale la prescrizione assume dei connotati differenti ed è oggetto di costante attenzione mediatica e politica, in quanto incide sui reati determinandone l’estinzione.

Soprattutto negli ultimi tempi si fa un gran parlare di legge sulla prescrizione e in pochi anni la prescrizione penale è stata oggetto di numerosi ripensamenti. La prima legge di questo tipo, la cosiddetta legge ex Cirielli, è stata emanata nel 2005, successivamente vi è stata, nel 2017, la “riforma Orlando” e in ultimo la legge del 2019 (detta “legge spazza-corrotti”), in vigore dal 1° gennaio 2020.

Un refrain che viene tanto ripetuto e accentuato, sul tema della prescrizione, è la strumentalizzazione di questo o quel sistema straniero per sostenere che solo l’Italia ha un istituto deleterio e garantista, o che anche negli altri Paesi europei vi è in fondo un assetto non dissimile. Entrambe le affermazioni sono infondate, perché paragonano situazioni e sistemi non confrontabili tra loro e non soltanto, ad esempio, per l’obbligatorietà o discrezionalità dell’azione penale, o per la maggiore e minore ampiezza delle condotte sanzionate, ma anche per le specifiche competenze attribuite agli organi giudiziari nei vari Paesi.

La prescrizione del reato, che viene bloccata dalla sentenza di primo grado, se non inserita in un ampio progetto di riforma e revisione del sistema penale, servirà solamente ad allungare i processi, procurando un danno al cittadino indagato o imputato e alla parte offesa. Non si può fare affidamento sulla prescrizione del reato come rimedio contro l’irragionevole durata del processo e, comunque, quando essa interviene in un processo in corso, rappresenta un fallimento per lo Stato, che male amministra la giustizia penale, con inutile dispendio di risorse senza riuscire ad accertare fatti e responsabilità.

Paradossalmente, la precedente legge sulla prescrizione contribuiva ad accelerare le indagini e i processi, per l’incombenza del termine di estinzione del reato. Invece, l’attuale legge consentirà di “produrre imputati a vita”, in quanto, senza più la prospettiva della prescrizione, il processo di appello potrebbe durare ben più di quanto duri già oggi, così come il procedimento in Cassazione potrebbe rallentare, invertendo un positivo trend dei tempi di definizione che ha caratterizzato gli anni più recenti. Un simile scenario, all’evidenza, pone oggi il problema della possibile violazione di garanzie e correlati principi costituzionali, a partire da quello della ragionevole durata del processo, consacrato nell’art. 111, co. 2 Cost. e nell’art. 6 Cedu.

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