Don Ciotti e Matteo Salvini in contrapposizione sul ruolo del ponte, tra sospetti di collusioni mafiose e il vecchio refrain dello sviluppo meridionale. Del ponte di Messina si parla quasi tre quarti di secolo, centinaia di studi e mille prospettive disattese.
Roma – Ormai quando si parla del “Ponte sullo Stretto” gli animi si accendono, i campanilismi fanno sentire le proprie ragioni e lo stordimento così come l’oblio hanno il sopravvento. Il pericolo mafie è sempre in agguato, ma lo è in ogni settore e soprattutto negli appalti, e proprio per questo non bisogna mai arrendersi nel contrastare il fenomeno. Certamente l’inerzia non è un deterrente. Il nodo infrastrutture, i cambiamenti e persino i miglioramenti sono messi in discussione. Allora, pur di allontanare il progetto si parla che prima di esso bisognerebbe migliorare la rete viaria, dei servizi, stradale e ferroviaria e, comunque, ogni altra cosa ad essa collegata. Insomma, ogni cosa pur di allontanare la realizzazione del ponte.
Così facendo, però, non si andrà da nessuna parte perché non si dovrebbe iniziare mai nulla, d’altronde perché, se bisogna pensare ad altre infrastrutture, prima del famigerato ponte, non si è mai fatto niente di quanto declamato…? Semplicemente perché non si vuole fare e si preferisce lasciare inalterato il sistema di collegamento, a volte fatiscente e comunque caotico e per nulla lungimirante, dei traghetti. Vi sono interessi da parte di chi ostacola un nuovo progetto…? In ogni caso potrebbero essere, comunque, i traghetti stessi una alternativa, anche con il ponte, per future rotte e collegamenti per tutelare lavoratori e famiglie che vivono di questa attività.
Chissà quanti poteri forti in movimento e non solo mafiosi…! Se don Luigi Ciotti riferisce di una correlazione tra ponte sullo Stretto e rischi sul fronte della criminalità organizzata, le sue parole non solo hanno un peso, ma sono veritiere. Se non altro perché il presidente di “Libera”, impegnato da decenni nel contrasto alle cosche, è forse tra i massimi esperti di fenomeni mafiosi. Ma c’è anche chi si ribella a tale assunto, relativo alle sue esternazioni sul tema.
Come Matteo Salvini, principale promotore della grande opera in capo al suo ministero, quello dei Trasporti. Lo scontro si è acceso dopo che don Ciotti ha parlato di una “politica smemorata”, di segnali che diventano inquietanti in relazione a pilastri dell’antimafia che oggi vengono messi fortemente in discussione. La critica si è fatta presto esplicita in relazione al ponte sullo stretto: “Non unirà solo due coste, ma certamente due cosche”. Parole pesanti – quelle di Don Ciotti – che forse volevano solo suscitare una particolare attenzione sulle infiltrazioni mafiose, ma che dette così inquinano un clima di sviluppo e di orgoglio meridionale, che offendono tra l’altro due regioni che hanno pagato cara l’oppressione e l’asfissia delle mafie. Il leader della Lega, per tutta risposta, ha definito la frase “una vergogna, una mancanza di rispetto nei confronti di milioni di persone perbene che meritano di lavorare, di studiare e di fare il pendolare, di andare a farsi curare come tutti gli altri”.
Provocazioni, rabbia e slogan, certamente non servono ad una comunicazione costruttiva, ma solo ad accendere gli animi ed arrivare ad offese ed eccessi verbali, che sicuramente possono servire a mettere a fuoco limiti e pericoli che derivano dalla costruzione dell’infrastruttura, che però sono eccessivi. D’altronde se si parte dal presupposto che in ogni appalto la delinquenza è in agguato, così come la corruzione e l’abuso d’ufficio, non si dovrebbe mai fare niente. Bisogna ribellarsi a questo ragionamento di continua sudditanza, paura e pericolo. Vi devono essere anticorpi sociali e legislativi severi per evitare collusioni. Il nord, comunque, non è, come è stato accertato in svariate inchieste, immune dalle infiltrazioni; quindi, indicare il mezzogiorno d’Italia come un “cancro sociale” nel quale, onde evitare che le cosche facciano affari, non si debba fare mai niente, e comunque non il ponte, sembra una caduta di stile, a cui Don Ciotti, almeno mi piace pensare, non abbia mai pensato.
Ecco perché ritengo che le cosche possano anche organizzarsi, però non per questo si deve evitare ad una regione e ad un intero Paese, di migliorare i propri collegamenti. Si organizzi, allora, anche lo Stato e dimostri, come ha già fatto altre volte, di essere più forte ed insensibile non sollo delle mafie, ma anche dei gufi e dei pifferai di sventura, nonché di coloro che minimizzano.