Obiettivi misurabili, coinvolgimento dei Comuni e attenzione ai territori: queste le chiavi del successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Purchè non diventi una barzelletta.
Roma – L’importanza del PNRR è sotto gli occhi di tutti. Ormai è evidente l’impatto significativo che il piano avrà sulla crescita economica e produttiva del Paese. È un indispensabile strumento per rilanciare l’economia all’insegna di innovazione e sostenibilità, incentivando l’avvio di attività imprenditoriali ad alto valore aggiunto. Proprio grazie a questo strumento il Governo contribuirà a combattere il cambiamento climatico e a promuovere l’inclusione in modo significativo, fissando obiettivi economici, sociali e ambientali misurabili. Questo è quanto si aspettano i cittadini, in concreto.
I progetti del PNRR italiano sono raggruppati in Missioni e sono guidati dai 3 assi strategici su cui si basa il NEU (Next Generation Eu), che sono la digitalizzazione e l’innovazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale. Proprio perché non ci si può permettere di fallire gli obiettivi da raggiungere e realizzare, a Palazzo Chigi è stato chiamato Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato della Corte dei Conti, a cui sarà affidato il complesso ruolo di gestire la nuova struttura di missione del PNRR. Lo fa sapere Raffaele Fitto, ministro per gli “Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR”, il quale ha commentato la notizia come una “scelta di responsabilità” evidenziando che in quelle risorse c’è il futuro dell’Italia.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede il coinvolgimento dei Comuni italiani in diversi progetti che vanno dai 30 miliardi di euro entro il 2026 fino a un massimo di 50 miliardi, in base al volume delle proposte da parte delle amministrazioni centrali che coinvolgeranno gli enti territoriali. In pratica all’interno del Piano ci sono 6 “missioni” divise in base ai settori. La cosiddetta “missione 2” è dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica e assorbe il 41,4% dei fondi assegnati. In sostanza i progetti riguardano prevalentemente la tutela del territorio e le risorse idriche.
Per quanto riguarda gli altri investimenti, vengono trattate tematiche come inclusione e coesione, con un impiego di risorse che ammonta al 30,7%. Nello specifico sono dedicate a infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore. Il 19,2% è, invece, indirizzato a istruzione e ricerca, dagli asili nido alle università. La “missione 1” è, all’opposto, la meno sostanziosa ed è dedicata alla digitalizzazione e all’innovazione nella pubblica amministrazione. In pratica le tematiche del Pnrr dedicato ai Comuni, riguarda il 44,9% dei fondi del Piano che è stato destinato alle regioni del Sud Italia. Inoltre, con il decreto pubblicato il 4 maggio nella Gazzetta Ufficiale è stato dato lo stop definitivo ai fondi per gli stadi.
In particolare, sono stati bloccati i finanziamenti allo stadio toscano “Artemio Franchi” e a quello veneto, “il Bosco dello Sport”. Blocco indispensabile in quanto imposto da Bruxelles, per ottenere la terza rata da 19 miliardi. È opportuno, anche, sapere che l’85% dei fondi del Piano sono stati indirizzati alle amministrazioni locali, per un totale di 34,1 miliardi di euro. Al Nord Italia viene destinato il 36,2%, al Centro Italia è destinato il 18,9%, al Mezzogiorno invece è indirizzata la quota più importante. Nello specifico, alla Sicilia l’11,4% e alla Campania il 10,6%.
Le percentuali di Sicilia e Lombardia si differenziano solo dello 0,2%. Queste ultime due regioni hanno rispettivamente l’11,2%. Il PNRR pone anche un interessante occhio di riguardo nei confronti dei Comuni italiani più piccoli. Infatti, il 24,3% delle risorse viene dedicato agli enti con meno di 5mila abitanti. In Italia, per avere un’idea chiara, ci sono 5.534 Comuni sotto i 5.000 abitanti, che rappresentano il 70,04% del numero totale dei Comuni italiani. Di tutta evidenza l’importanza di far emergere competenze nella pubblica amministrazione che possano sviluppare progetti per i territori.