Il riscaldamento globale avrebbe trasformato il ciclo delle precipitazioni in molte zone, attivando un processo di “inversione del rischio climatico”.
Roma – Il Nord Italia come l’Africa! Il cambiamento climatico ha prodotto quello che gli esperti definiscono “colpo di frusta meteorologico”, che ha causato l’alluvione in Emilia-Romagna nello scorso maggio. Col termine si intende un andamento delle precipitazioni simile al movimento della frusta quando viene scossa. Si tratta di un repentino passaggio da condizioni di estrema abbondanza di precipitazioni alla situazione opposta, di siccità. Per questi motivi il Nord Italia sta diventando come l’Africa, dove questi fenomeni sono consueti. E’ lo scenario emerso da uno studio dell’Università di Bristol e Cardiff del Regno Unito, diffusa dall’Organizzazione Non Governativa (ONG) “WaterAid”, il cui scopo è sostenere la popolazione dei paesi del Terzo Mondo nella lotta al contagio derivante dall’uso di acqua contaminata e alla sensibilizzazione dei governi circa questo problema e sulle politiche sanitarie adottabili.
Questi catastrofici mutamenti climatici, oltre all’Italia, hanno riguardato diversi Paesi, come Etiopia, Pakistan, Ghana, Uganda. Gli autori della studio ritengono che il riscaldamento globale abbia trasformato il ciclo delle precipitazioni in molte aree del mondo, mettendo in moto un processo definito “inversione del rischio climatico”. Secondo lo studio, a causa di quest’inversione, il clima del Belpaese sta diventando simile a quello del Corno d’Africa che da anni è vittima di piogge scarse e raccolti insoddisfacenti. Per la cronaca, Il Corno d’Africa è una penisola di forma triangolare posta sul lato orientale del continente africano, protendendosi, a forma di corno, nell’oceano Indiano e nel golfo di Aden, comprendendo Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia.
In soldoni, secondo lo studio, le aree che un tempo erano colpite da siccità, ora sono soggette da inondazioni e viceversa. Tra quelle esaminate, è balzata all’occhio la similitudine tra il Nord Italia e la regione meridionale di Shabelle, in Etiopia. Nel senso che in queste due aree, negli ultimi vent’anni, si sono più che raddoppiati periodi di forte siccità, rendendo i due climi sempre più aridi e simili. La somiglianza esiste anche tra i due fiumi, il Shabelle e il nostro Po.
Il primo è una risorsa vitale per gli abitanti del territorio e negli ultimi anni ha sofferto le peggiori condizioni di siccità. Anche il Po, soprattutto negli ultimi due anni, ha subito valori di precipitazione e di livello, molto al di sotto della media storica. Come abbiamo potuto avvertire sulla nostra pelle, la siccità si è alternata a forti inondazioni, frane, danni alle persone, alle infrastrutture e all’ambiente in generale. Un altro aspetto del fenomeno molto rilevante è la connessione tra mutamenti climatici e migrazioni. Se è vero che il Nord Italia sta diventando come l’Africa, per uno strano capriccio della Storia, può ritrovarsi ad indossare le scomodi vesti dei “migranti climatici”.
Una sorta di legge del contrappasso di dantiana memoria, per cui ci si potrebbe trovare, in un prossimo futuro, nelle stesse condizioni di chi oggi viene osteggiato! Il cambiamento climatico, tuttavia, non è omogeneo, ma molto eterogeno e, in quanto tale, imprevedibile dal punto di vista meteorologico. Tutti fattori di cui le istituzioni internazionali dovrebbero avere consapevolezza, per adeguarsi alle mutate condizioni. La Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici del 2023, svoltasi a Dubai negli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre, non sembra aver tenuto conto di queste necessità. Le priorità sono state altre, ad esempio la garanzia che le energie fossili andranno avanti fino all’esaurimento, smentendo, addirittura, la Scienza. Difficile resistere alla… seduzione dei petrodollari. Ed intanto si muore di fame e di clima, mentre i decisori si sentono eterni!