Petrolio e gas dominano ancora: il lento cammino verso le rinnovabili

Nonostante il Green Deal, le energie rinnovabili restano in secondo piano. Il caso BP dimostra come petrolio e gas siano ancora i veri padroni del mercato.

Altro che rinnovabili, sono ancora il petrolio e il gas a farla da padroni! Si fa un gran parlare di fonti energetiche rinnovabili e di “Green Deal”, si organizzano convegni, dibattiti, summit politici, tuttavia si procede a rilento. Le fonti rinnovabili non sono soggette a esaurimento, in quanto si reintegrano naturalmente sulla base di processi fisici.

Il “Green Deal” è la legge europea del clima, approvata nel giugno 2021, tra squilli di tromba e suoni di fanfare dal Parlamento europeo, che rende giuridicamente vincolante l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. Allo stato attuale, si tratta di traguardi irraggiungibili, ma come si dice: chi vivrà, vedrà! Sta di fatto che le grandi imprese energetiche stanno cambiando decisamente rotta dopo un timido tentativo di abbandonare le fonti di energia fossile (petrolio, gas naturale, carbone).

E’ il caso del colosso britannico “British Petroleum” (BP) che ha deciso di investire proprio su petrolio e gas, tralasciando le rinnovabili. Come ha sostenuto il management, si è trattato di un mutamento strategico drastico, orientando gli investimenti sulle attività più redditizie allo scopo di migliorare l’azione economica, riducendo i costi. Alla resa dei conti un’impresa, soprattutto di grandi dimensioni come la BP, non può che rivelare la propria natura. Se la cassa piange, malgrado la volontà di attuare concetti come green, ambiente, etica o solidarietà che dir si voglia, emerge la sua indole irriducibile e irrimediabile: investire per fare profitti. Il resto non conta, vale meno di zero.

In dettaglio è prevista una crescita degli investimenti inerenti le attività di esplorazione e produzione di idrocarburi, pari a circa 10 miliardi di dollari annui entro il 2027, con un incremento della produzione oscillante tra i 2,3 e i 2,5 milioni di barili giornalieri. Per le attività del settore petrolifero che si collocano a valle dell’esplorazione e produzione petrolifera sono previsti un decremento dei costi di circa 2 miliardi e investimenti, entro il 2027, di 3 miliardi. Per guadagnare di più BP ha deciso di diminuire in maniera rilevante gli investimenti per la transizione energetica, a soli 1,5-2 miliardi annui, pari a 5 miliardi in meno rispetto al passato.

Meno risorse, dunque, nel biogas e nelle energie rinnovabili. Si pensa ad obiettivi più orientati alla sostenibilità ambientale. Con quest’ultimo termine, si intende la massima riduzione possibile dell’impatto di qualsiasi attività umana sull’ecosistema in cui è inserita quella specifica attività. Ora, come può BP essere sostenibile se nel ripensare alla propria strategia economica, il ritorno alle fonti fossili e il ritiro da quelle rinnovabili, gli effetti sull’ecosistema saranno devastanti? E’ una sorta di ossimoro o di presa in giro.  E poi si parla tanto di responsabilità etica e sociale dell’impresa. Sì, si è visto in che modo viene esercitata!

Una strategia come quella che sta attuando il colosso britannico, produrrà dei gravi costi sociali, umani e finanziari. Se le casse di BP saranno più floride, gli effetti sulla salute delle persone continueranno ad essere deleteri, come ha confermato una miriade di ricerche scientifiche. La continua esposizione agli idrocarburi, infatti, può provocare irritazione ai polmoni, con tosse, soffocamento, respiro affannoso e problemi neurologici.

Solo una serie politica fatta di azioni concrete, controlli mirati alla realizzazione del programma ambientale e non di chiacchiere che vanno bene nei salotti televisivi o nei convegni, potrebbe cambiare il corso degli avvenimenti. Ma se, finanche, a livello europeo si decide un indirizzo programmatico e poi ognuno fa come gli apre, allora, forse, è meglio desistere e affidarsi al Padreterno, per chi ci crede. Tanto, è sempre la solita solfa!

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