E’ il mondo femminile a pagare il prezzo più alto: il cambiamento climatico peggiora le condizioni di vulnerabilità e le ingiustizie.
Roma – La crisi climatica… preferisce le donne! Qualche tempo fa è stato pubblicato un libro a più voci dal titolo: “All We Can Save”, ovvero “Tutte noi possiamo salvare”, a cui hanno partecipato decine di donne coinvolte nella lotta alla crisi climatica. E’ un “j’accuse” alla struttura di potere patriarcale che è la stessa che provoca distruzione all’ambiente. La crisi climatica non ha neutralità di genere, anzi sono le donne a pagare il prezzo più alto, peggiorando le condizioni di vulnerabilità e ingiustizie. Soprattutto in condizione di indigenza, le donne sono le vittime predestinate al rischio di evacuazione e di morte, quando si verificano disastri naturali a causa del clima estremo.
Diversi studi hanno correlato il cambiamento climatico alle violenze di genere. Eppure il fenomeno riguarda la collettività, ma il suo impatto è sproporzionato, a svantaggio delle donne. Secondo i dati l’80% di sfollati per disastri ambientali è composta da donne, da cui scaturisce impoverimento e provvisorietà, a cui si aggiunge un incremento di violenza domestica e sessuale. I cambiamenti climatici sono una minaccia per l’intera umanità, ma hanno manifestato una… preferenza per il sesso femminile! Non è una situazione dovuta al destino cinico e baro, ma è il prodotto di vulnerabilità strutturali, che il cambiamento climatico inasprisce. Infatti, su 1,3 miliardi di persone povere, il 70% è donna e 4 famiglie su 10 a basso reddito ne hanno una come capofamiglia. Inoltre, nelle aree rurali la metà del lavoro agricolo è svolto da donne. Però il potere decisionale è in mano ai maschi, tanto che il 90% delle risorse distribuite sono erogate agli uomini.
Tuttavia, in caso di disastri, il peso delle emergenze ricade sulle spalle delle donne, così come proteggere i raccolti sopravvissuti. Le ragazze abbandonano gli studi per dedicarsi al lavoro domestico e di cura. Ad esempio nel Blangladesh, nelle zone costiere, le più colpite dai disastri, le acque hanno subito una forte alterazione. Le donne e ragazze, responsabili della cura domestica, devono percorrere a piedi fino a 3 chilometri per approvvigionarsi di acqua potabile, con dei vasi pesanti in testa. Un’andatura che, a lungo, provoca dolore cronico, oltre al rischio di molestie e violenze da parte di uomini o ragazzi che possono incontrare lungo il cammino. Gli effetti deleteri del clima si manifestano anche sulla salute femminile, che patisce di più, rispetto ai maschi, le ondate di calore. Inoltre, è maggiormente a rischio la salute materno-infantile, a causa della persistente scarsità di cibo.
La discriminazione di genere non è solo evidente negli effetti, ma anche negli strumenti a disposizione per contrastare la crisi climatica. Malgrado ci siano numerose testimonianze femminili sulla loro lotta al cambiamento climatico, risultano ancora poco presenti ai tavoli decisionali. Le donne sono, infatti, sotto-rappresentate non solo nelle cosiddette “stanza dei bottoni” della politica, ma anche delle aziende, della finanza e, finanche, delle associazioni ambientaliste. La locuzione fu coniata da Pietro Nenni (politico socialista) nel 1962, per riferirsi, in maniera icastica, al luogo, metaforico e altolocato, “in cui il governo decide”, in cui si materializza l’esercizio del potere politico. Oltre ad essere sotto-rappresentate, le donne ricevono pure meno risorse finanziarie. La loro esclusione, oltre ad essere una discriminazione di genere, è anche un insuccesso pratico. Quando le donne sono state investite di cariche istituzionali hanno manifestato una maggiore inclinazione alle tematiche ambientali. Sarebbe ora che la cultura patriarcale, con tutti i danni provocati, si facesse da parte, in modo che quella femminile possa attuare le sue enormi potenzialità. Con “questi chiari di luna”, però, il percorso, appare molto impervio!