Il turismo sovrabbondante sta trasformando le città in musei a cielo aperto e allontanando i residenti. Airbnb e i grandi eventi favoriscono l’economia, ma a che prezzo?
Il numero di individui che si muove, come le carovane del vecchio west, per compiere quello che l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) definisce come “l’insieme delle attività delle persone che effettuano uno spostamento o soggiornano al di fuori dell’abituale ambiente per almeno 24 ore e comunque per un periodo non superiore ad un anno”, in una parola: il turismo, provoca degli stravolgimenti nei luoghi in cui ci si reca. La narrazione corrente di questo fenomeno è, spesso, fatta di enfasi e salamelecchi per dimostrare che un settore dell’economia italiana, il turismo appunto, cresce a vista d’occhio. Una visione speciosa che esalta il lato commerciale, tralasciando gli effetti che produce nel lungo periodo.
Secondo il giornalista e sociologo Marco D’Eramo, il turismo agisce sulle città come una gigantesca mano che estromette gli autoctoni per sostituirli con case vacanze e Airbnb. Quest’ultima è una piattaforma web, sorta negli USA, utilizzata in tutto il mondo per, offrire in locazione camere, case o appartamenti per soggiorni di brevi periodi a turisti. Si tratta, dunque, di un portale online che funge da mezzo di contatto tra persone in cerca di un alloggio o di una camera per brevi periodi e proprietari di immobili, che dispongono di uno spazio extra da affittare. E’ intuibile come la struttura sociale ed economica, invasa da “nuovi barbari dell’era tecnologica”, ne esca sconvolta.

Un altro esito deleterio è costituito dai grandi eventi, che vengono sollecitati perché dovrebbero fornire impulso alle economie locali e per attrarre investimenti per infrastrutture. Secondo D’Eramo, il turismo recita un ruolo importante per tutta l’economia. Da esso dipendono molti comparti, tra cui l’industria aeronautica, la cantieristica navale, l’edilizia residenziale per le seconde case ed altri ancora. Per soddisfare queste condizioni è necessaria un’infrastruttura elefantiaca: ferrovie, aeroporti, stazioni, autostrade. E’, però, anche l’industria che più inquina il pianeta. Da questo punto di vista la vulgata corrente che parla di “turismo sostenibile” esprime, in realtà, una forte contraddizione ed una grande presa in giro. Come quando si utilizzano termini contrastanti come lucida follia, brivido caldo, silenzio assordante, disgustoso piacere, attimo infinito, buio accecante, assenza ingombrante.

Perifrasi utili in un contesto retorico e/o letterario, ma alla resa dei conti sono una il contrario dell’altra. Se per gli altri settori si è cercato, almeno sulla carta, di attuare politiche ambientali, per il turismo niente di tutto ciò. Il settore è stato affrontato, quasi sempre, secondo la logica quantitativa, ma mai ponendosi il concetto del “come” lo si desidera. Il nervo scoperto è sempre il solito che caratterizza il nostro Paese: la gestione del fenomeno. Infatti, l’Italia è il Paese che ha 1/3 di turisti in meno rispetto all’Europa ed i benefici sono inferiori ai danni. A ricavarne vantaggi è Airbnb, non certo i residenti che si esasperano ogni volta che vedono aprire una casa vacanza. Quasi ad esprimere una sorta di attaccamento morboso al proprio paese/città. In realtà il turismo non è un problema in sé, ma è vittima della suddivisione in zone urbane, ognuna poco comunicante con le altre, come un compartimento stagno.
E’ come se la città non venisse più considerata un contesto di relazioni umane, di scambi, di sogni viaggianti da un quartiere all’altro in continua trasformazione. Sembra quasi che sia persa l’idea che una città “vive”, guarda un po’ che strano accadimento! Si preferisce, invece, la loro “musealizzazione”, considerandole dei musei a cielo aperto. Una seria politica del turismo dovrebbe investire nell’introduzione di attività multifunzionali e legate tra di loro. E’ ora di smetterla con la politica che non guarda al di là del proprio naso, che permette solo corruzione e lauti guadagni dei “grandi gruppi”, mentre i cittadini possono andare pure “a ramengo”!