Ottant’anni di pastasciutta antifascista: quando anche un piatto grida Liberazione

Il 25 luglio di ogni anno, in tutta Italia, a partire da Casa Cervi a Gattatico ci si ritrova per mangiare un bel piatto di pasta…antifascista. Era il 1943 quando i fratelli Cervi decisero di festeggiare l’arresto di Benito Mussolini con un piatto che proprio i fascisti disprezzavano. Dunque, Italia, buon appetito!

Roma – Anche con la pasta si fa Resistenza. Il 25 luglio scorso, come avviene da 80 anni, si è celebrata la “prima pastasciutta antifascista”. Pare che la pastasciutta fosse odiata dal regime fascista e anch’essa fini al confino come tanti oppositori politici. La storia narra che furono i fratelli Cervi ad offrire la lauta pietanza agli abitanti di Campegine in provincia di Reggio Emilia.

A testimoniare i festeggiamenti per la caduta del fascismo e la deposizione del suo leader, Benito Mussolini avvenuta il 25 luglio 1943. Il progetto autarchico del fascismo non è che avesse prodotto risultati soddisfacenti, tutt’altro. L’Italia restava un paese con una popolazione malnutrita. Al Nord si consumava solo polenta, al sud pane. La pasta fu messa al bando, in quanto ai fascisti non piaceva. Con la scarsa e povera alimentazione si diffusero malattie come la pellagra e il rachitismo, soprattutto al centro e al nord del Paese.

Mentre al sud infieriva il tracoma, un’infezione batterica dell’occhio. I fratelli Cervi decisero, quindi, di festeggiare la fine del fascismo cucinando quintalate di pasta al burro e parmigiano. La prima pastasciutta antifascista fu cucinata a Gattatico e poi portata a Campegine. Si narra che durante il percorso la pasta divenne scotta, mentre i contadini lungo il cammino, per tenere a bada la fame che ululava i suoi lamenti, iniziarono ad arraffarne un be po’.

Furono serviti 10 quintali di spaghetti

Comunque, dopo un viaggio tortuoso, il prezioso dono raggiunse la piazza di Campegine. Si narra che un piatto di pasta fu offerto anche ad un ragazzo vestito da balilla. Gli storici non sono sicuri se la “festa” avvenne il 25, 26 o 27 luglio e nemmeno si sa la quantità di pasta cucinata. Alcuni sostengono dai 3 ai 10 quintali. Ma essendo stata fatta a mano, forse è utile non prendere in considerazione numeri sensazionali. Ma l’aspetto dirimente è la celebrazione a cui la comunità intera partecipò con passione, tenuta repressa per anni. La storia poi seguì il suo corso.

Mussolini, liberato dai nazisti, fondò la Repubblica sociale di Salò, riuscendo a riorganizzare i suoi accoliti. Quest’ultimi insieme ai nazisti continuarono ad imperversare in varie zone del paese, fino all’assalto di casa Cervi, in cui perirono tutti e sette i fratelli. L’ostracismo del regime fascista nei confronti della pasta era dovuto, secondo il sociologo Marco Cerri, a tre ragioni. La prima va inserita nel progetto autarchico, secondo cui la pasta si ottiene col grano, ma per avere l’autosufficienza cerealicola, era necessario utilizzarne poco.

Una “spaghettata” in nome di un’Italia libera

La seconda ragione risale alla propaganda futuristica, per la quale la pasta rammolliva lo spirito guerriero, procurava sonnolenza e determinava il neutralismo nei confronti della guerra. Com’è noto, il futurismo è stato un movimento artistico e culturale dell’inizio ‘900, che si scagliò contro i valori tradizionali del passato, visti come espressione d’ignoranza e superstizione.

I suoi adepti avevano una visione fideistica del progresso e consideravano la guerra una legge profonda della vita e, anche, occasione di festa, esuberanza vitale e profusione salutare di energie. L’ultima ragione è legata al concetto di “ruralismo fascista”, secondo cui la pasta era un’importazione dall’America. La pasta era consumata praticamente solo a Napoli e sconosciuta nel resto del paese.

Fu grazie ai migranti che tornarono dagli USA che la pasta ebbe nuovo vigore, perché tra gli italiani d’America era una pietanza molto diffusa. L’avversione per la pasta scaturì, quindi, da un “sentimento antiamericano”, che portò in quegli anni ad un drastico calo nei consumi. Per tutti questi motivi, la pasta, ancora oggi resta un simbolo antifascista, a conferma che il cibo ha un valore culturale e simbolico che va al di là del mero masticare. Buon appetto, dunque!

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