Una tendenza che ha preso piede all’estero e che in Italia non ha ancora attecchito. Eppure i lavoratori del settore domestico sono 894 mila.
Roma – Il lavoro domestico tra bisogni e difficoltà. Segno dei tempi ad alta tecnologia: anche le “tate” si cercano sulle app. Chi poteva mai immaginarselo? Ed invece è realtà. Il fenomeno si è sviluppato su Tinder, una delle applicazioni mobili di maggior successo per incontri, che col tempo si è trasformata anche in agenzia di servizi. Sembra che il gradimento degli utenti sia abbastanza alto. Il servizio è utilizzato da chi non la fortuna di poter contare sui nonni come fonte di welfare. In Italia, finora, sembra che non abbia attecchito, anche se all’estero le nostre over cinquantenni sono molto quotate, anche se la percentuale di chi decide di partire è molto bassa. Si tratta di svolgere compiti di babysitting e lavori domestici leggeri.
Con molta probabilità la poca propensione a spostarsi potrebbe essere spiegata dalla presenza di figli che, a loro volta, hanno procreato nipoti, per cui la loro presenza, volenti o nolenti, è richiesta in loco. La novità è rappresentata dal fatto che le babysitter, pur avendo un grande mercato, non trovano collocazione perché molte famiglie si trovano in difficoltà finanziarie. Se guardiamo alla situazione italiana, con un figlio molto piccolo, ci si scontra con la carenza di posti negli asili nido. Infatti per il 75% dei bambini le strutture non esistono nemmeno. La penuria è particolarmente marcata nel Mezzogiorno (vatti a sbagliare!) e se a questo dato si aggiunge che in alcune città italiane, la retta mensile può raggiungere anche 3mila euro mensili, si comprende gli ostacoli che si frappongono alle famiglie di lavoratori.
Lo scorso mese di dicembre è stato presentato il report “Il potenziale del lavoro domestico – Proposte di intervento”, redatto da “Nuova Collaborazione” (Associazione Nazionale Datori di Lavoro Domestico), a cura del Centro di Ricerca Sociale e Documentazione “Luigi Einaudi”. E’ emerso che i lavoratori del settore domestico sono 894 mila, di cui 429 mila badanti e 465 mila colf. Quest’ultime sono assunte in gran parte da famiglie benestanti, mentre le badanti e babysitter da quelle a basso reddito, con il compito di prendersi cura dei bambini, anziani e non autosufficienti. A causa della perdurante crisi economica, molte sono costrette ad utilizzare i propri risparmi.
Dallo studio, inoltre, viene evidenziata la carenza di agevolazioni fiscali e di politiche sociale adeguate. Un terzo delle famiglie, in assenza di lavoratori domestici, si troverebbe nelle svantaggiose condizioni di fare il part-time, quasi sempre sulle spalle delle donne, o, peggio ancora, abbandonare il lavoro. La metà delle famiglie a basso reddito, risultano ancora più “sfigate”. Nel senso che, spesso, svolgono occupazioni con orari rigidi, per cui sono preclusi dalla flessibilità oraria. Inoltre, ben l’85% delle famiglie si troverebbe nella spiacevole situazione di ridurre l’attività lavorativa senza una babysitter e più della metà senza una badante, rischia di rinunciare al posto di lavoro.
Ma la criticità più preoccupante è rappresentata dal 18% di persone tra i 20 e 64 anni invisibile al mercato del lavoro, o perché impegnato nello studio o a causa del pensionamento. Le donne raggiungono il 27%, un primato di cui avrebbero rinunciato volentieri. Questo è spiegabile dal fatto che il lavoro domestico e di cura pesa, quasi sempre, sulle spalle delle donne, per cui il 53% di loro non è alla ricerca di occupazione, perché gravata da incombenze familiari. Lo stesso aggravio si verifica quando c’è da badare ad un bambino e non si può assumere una babysitter. Sono sempre le madri ad occuparsene e a lasciare il lavoro, mentre i padri si defilano. Situazioni che potrebbero essere alleggerite con una decisa politica di welfare e di sostegno sul territorio a vantaggio non solo di chi al momento usufruisce del servizio ma del benessere complessivo della società