I timori della cinquantenne di origini srilankesi uccisa al Parco Nord, emerse dalle testimonianze dei colleghi all’hotel Brema di Milano.
Milano – Chamila Wijesuriya, la barista 50enne di origini srilankesi uccisa a coltellate il 9 maggio al Parco Nord di Milano, aveva espresso ai colleghi la paura di essere “ammazzata” da Emanuele De Maria, il detenuto 35enne che lavorava con lei all’Hotel Berna. De Maria, in carcere per un precedente femminicidio e ammesso al lavoro esterno grazie a un permesso del Tribunale di Sorveglianza, non solo ha compiuto l’omicidio di Chamila, ma il giorno successivo, 10 maggio, ha tentato di uccidere un altro collega, Hani Fouad Abdelghaffar Nasr, che aveva avvertito la donna della pericolosità dell’uomo.
Le testimonianze raccolte dalla Procura di Milano, coordinate dal pm Francesco De Tommasi, rivelano i timori della vittima e sollevano interrogativi su possibili sottovalutazioni nel percorso di reinserimento di De Maria, culminato con il suo suicidio dal Duomo di Milano l’11 maggio. Un fascicolo per favoreggiamento è stato aperto per verificare eventuali complicità o omissioni durante i 18 mesi di lavoro dell’uomo all’hotel.
Chamila Wijesuriya, descritta come una “moglie perfetta” e un’“ottima madre” dal marito Himanshu, lavorava al reparto caffetteria dell’Hotel Berna, un quattro stelle in zona Stazione Centrale. Qui aveva conosciuto Emanuele De Maria, assunto come receptionist nel novembre 2023 grazie a un permesso lavorativo concesso dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. De Maria, condannato a 14 anni e 3 mesi per l’omicidio di una 23enne accoltellata alla gola nel 2016 a Castel Volturno, era considerato un “detenuto modello” per la sua buona condotta nel carcere di Bollate.
Tra i due era nata una relazione sentimentale, ma Chamila, consapevole del passato di De Maria, aveva deciso di interromperla, anche su consiglio del collega Hani Nasr. Secondo le testimonianze raccolte dai colleghi, Chamila aveva confidato di temere per la sua vita, dichiarando di avere “paura di essere ammazzata da lui”. La sua preoccupazione si è rivelata tragicamente fondata: il 9 maggio, intorno alle 15, De Maria l’ha attirata al Parco Nord, dove l’ha uccisa con quattro coltellate al collo e ai polsi. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso i due mentre camminavano insieme sotto la pioggia, ma solo De Maria è tornato indietro, con la borsa nera della vittima. Alle 17.36, è stato immortalato alla stazione della metropolitana Bignami (M5), dove ha gettato il cellulare di Chamila in un cestino dopo aver chiamato la madre e la cognata per chiedere “perdono” per una “cazzata” commessa.
Il giorno successivo, alle 6.20 del 10 maggio, De Maria si è presentato davanti all’Hotel Berna e ha aggredito Hani Nasr, un barista 50enne di origini egiziane, colpendolo con cinque fendenti al collo con la stessa arma usata per uccidere Chamila. Nasr, che aveva consigliato a Chamila di lasciare De Maria, è sopravvissuto grazie a un intervento d’urgenza all’ospedale Niguarda, dove è tuttora ricoverato. Le immagini delle telecamere mostrano De Maria inseguire e accoltellare il collega all’ingresso dell’hotel, in un atto che il pm De Tommasi ritiene parte di un piano premeditato.
Dopo l’aggressione, De Maria ha acquistato un biglietto per il Duomo di Milano alle 12.30 di sabato, ulteriore prova della pianificazione delle sue azioni. Domenica 11 maggio, verso le 13.00, camuffato con una kefiah e un copricapo per non essere riconosciuto, è salito sulle terrazze del Duomo e si è lanciato nel vuoto, morendo sul colpo. In tasca aveva una foto di Chamila e una ciocca di capelli della vittima, elementi che sottolineano la natura ossessiva del suo comportamento. Fortunatamente, il suo corpo non ha colpito i passanti in Piazza Duomo.
I magistrati stanno indagando non solo sull’omicidio di Chamila e sul tentato omicidio di Nasr, ma anche su eventuali responsabilità nel percorso di reinserimento di De Maria. Un secondo fascicolo per favoreggiamento a carico di ignoti è stato aperto per verificare se qualcuno abbia aiutato De Maria durante la sua fuga o abbia omesso di segnalare comportamenti sospetti nei 18 mesi di lavoro all’Hotel Berna. Gli inquirenti stanno interrogando i colleghi, in particolare una donna che potrebbe avere informazioni rilevanti, per capire se vi fossero segnali di rischio ignorati.
Le testimonianze raccolte confermano che Chamila aveva espresso timori espliciti, ma non è chiaro se questi siano stati segnalati alla direzione dell’hotel o alle autorità carcerarie. Il Tribunale di Sorveglianza, in una nota firmata dal presidente della Corte d’Appello Giuseppe Ondei e dalla presidente facente funzione Anna Maria Oddone, ha difeso la decisione di concedere il permesso lavorativo, sottolineando che “il percorso carcerario di De Maria si è mantenuto sempre positivo” e che “nulla poteva lasciar presagire l’imprevedibile esito”. Tuttavia, il Ministero della Giustizia sta riesaminando il caso, e sono state disposte autopsie sui corpi di De Maria e Wijesuriya, previste per il 16 maggio, per accertare eventuali assunzioni di sostanze stupefacenti.