Il divario con l’Europa resta ampio. Persistono il tetto di cristallo, contratti precari e disuguaglianze retributive.
In Italia l’occupazione femminile cresce, ma meno che in Europa. Nonostante il tasso di occupazione delle donne sia in crescita, il nostro Paese è ancora in affanno nei confronti dell’Europa. Vale a dire che il “tetto di cristallo” non si è del tutto frantumato. E’ una locuzione utilizzata dalle scienze sociali come una metafora per indicare una situazione in cui l’avanzamento di carriera di una persona in una organizzazione lavorativa o sociale, o il raggiungimento della parità di diritti, viene impedito per discriminazioni e barriere di prevalente origine razziale o sessuale che si frappongono come ostacoli di natura sociale, culturale, psicologica apparentemente invisibili anche se insormontabili.

Nel tempo il termine si è usato anche per indicare ostacoli all’avanzamento imposti a categorie sociali come disabili, anziani e minoranze etniche. Il 6 marzo scorso è stato presentato il rapporto Cnel-Istat ‘Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità’, da cui è emerso che il tasso di occupazione femminile, dal 2008 al 2024 è cresciuto del 6,4%. Com’è noto il Cnel, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, è un organo di rilievo costituzionale, mentre l’Istat è l’Istituto nazionale di statistica. L’incremento è dovuto alle over 50 con un più 20%, mentre le 25-34enni si sono fermate ad un più 1,4%. Seppur il miglioramento va salutato con soddisfazione, tuttavia c’è da registrare che il nostro Paese continua ad arrancare nei confronti dell’Europa. Infatti, l’occupazione femminile è la più bassa tra i 27 Paesi dell’Unione ed è di 12,6 punti in meno della media europea. Inoltre, mentre il 70% dei lavoratori occupa una posizione standard, le lavoratrici sono un po’ più della metà, 53,9%.
Le criticità per il 25% di donne lavoratrici sono rappresentate dal lavoro a tempo determinato e part time, mentre gli uomini sono il 13,8%. A pagarne il prezzo più alto sono per il 38,7% le lavoratrici giovani, residenti nel Meridione d’Italia, 31,2%, con livello di istruzione basso, 31,7 in possesso solo della licenza media inferiore e, infine, straniere, 36,5%. Oltre al divario con l’Europa, quasi il doppio, 9,1% il dato nazionale, contro il 17,4% europeo, ci sono da registrare le differenze territoriali: mentre il Nord e il Centro Italia, ad eccezione del Lazio, hanno raggiunto il 60% previsto dalla Strategia di Lisbona del 2010, il Meridione, come al solito è ai minimi termini.

Sono cresciute anche le coppie dove lavorano entrambi i componenti, anche se, ancora una volta, si è lontani dalla media europea. Se si lavora in due, partecipando alla composizione del reddito complessivo, pare che produca benefici anche al soggetto individuale. Le donne risultano, percentualmente, più istruite degli uomini, ma in pratica questo non costituisce un vantaggio, anzi! Esiste una discriminazione orizzontale, per cui le donne risultano occupate solo in 21 professioni. Anche il succitato “tetto di cristallo”, continua a resistere e non si infrange del tutto.
Il divario è palese nei differenti livelli retributivi, a causa dei cosiddetti “contratti anomali” nel mercato del lavoro che colpisce le lavoratrici. Malgrado negli ultimi 7 anni la retribuzione annua delle donne occupate sia aumentata del 5% in termini reali, mentre quella degli uomini del 3,2%, il genere maschile si trova con 6mila euro in più su base annua rispetto a quello femminile. E’ chiaro che si tratta di un “vulnus” frutto della cultura maschiocentrica e che lede i principi di uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione e da vari organismi internazionali.
Le differenze retributive devono dipendere da lavori e competenze diversi, giammai dal sesso, razza o religione. Altrimenti è come vivere in un regime politico sostanzialmente autoritario che però mantiene, anche se solo formalmente, le apparenze di una democrazia!