Sottratta agli appetiti delle cosche, la terra dell’imprenditrice martire ora produce frutti di legalità. Nel luogo dove fu aggredita, è stato inaugurato un giardino progettato dagli studenti.
Vibo Valentia – Esattamente nove anni fa, la mattina del 6 maggio 2016, Maria Chindamo, imprenditrice agricola di 42 anni, madre di tre figli, scomparve davanti al cancello della sua azienda a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Nove anni dopo, la sua morte, un femminicidio mafioso di inaudita ferocia, rimane senza giustizia piena. La Dacia Duster di Maria, trovata con il motore acceso, tracce di sangue e capelli, fu l’inizio di un calvario giudiziario e umano che ha rivelato la crudeltà della ‘Ndrangheta e il peso di una cultura patriarcale ancora radicata.
Alle 7:15 del 6 maggio 2016, un dipendente dell’azienda agricola di Maria, in contrada Montalto, chiamò il fratello Vincenzo Chindamo: l’auto di Maria era ferma, il cancello chiuso, il motore acceso, con macchie di sangue sul cofano. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catanzaro sotto Nicola Gratteri, esclusero subito un allontanamento volontario. La Procura di Vibo Valentia ipotizzò omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Nel 2021, il pentito Antonio Cossidente, citando Emanuele Mancuso del clan Mancuso, rivelò un dettaglio agghiacciante: Maria fu uccisa, il suo corpo dato in pasto ai maiali e i resti triturati con un trattore cingolato.
L’operazione Maestrale-Carthago (settembre 2023) confermò questa ricostruzione, arrestando Salvatore Ascone, detto “U Pinnularu”, accusato di concorso in omicidio per aver manomesso le telecamere di sorveglianza vicine al luogo del delitto. Le analisi dei file dimostrarono la disattivazione scientifica delle telecamere la sera precedente. Tuttavia, Ascone fu scarcerato nel 2020 dal Tribunale del Riesame per mancanza di prove definitive, e il processo, iniziato il 14 marzo 2024 in Corte d’Assise a Catanzaro, non ha ancora individuato i mandanti principali.
Maria, originaria di Laureana di Borrello, era una donna libera. Dopo il suicidio del marito Ferdinando Puntoriero (8 maggio 2015), che non accettò la separazione, Maria rilevò i terreni di famiglia, circa tre ettari di kiwi, agrumi e ulivi, e avviò un’azienda agricola. Si iscrisse all’università e iniziò una nuova relazione con un poliziotto, resa pubblica su Facebook tre giorni prima del delitto. Questi atti di indipendenza furono percepiti come un affronto in un contesto dominato dalla ‘Ndrangheta e da una mentalità patriarcale.
Secondo Gratteri, Maria fu punita per “la sua voglia di essere donna” e per non aver ceduto i terreni al clan Mancuso, che ambiva a controllare le sue proprietà. La famiglia Puntoriero, in particolare il suocero Vincenzo, deceduto nel 2017, la riteneva responsabile del suicidio di Ferdinando. Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, ha sottolineato più volte la complessità del movente: non solo la contesa territoriale, ma anche l’odio per la sua libertà. Emanuele Mancuso confermò che il delitto fu deciso per “onore” e interessi economici.
Le indagini hanno affrontato un muro di omertà. Le telecamere di Ascone, che avrebbero potuto riprendere l’agguato, erano state disattivate. Le dichiarazioni di pentiti come Mancuso e Cossidente hanno fornito dettagli, ma non prove sufficienti per condanne definitive. Nel 2023, Maestrale-Carthago ha portato a 84 misure cautelari, coinvolgendo politici, avvocati e dirigenti sanitari, ma solo Ascone è stato accusato direttamente per l’omicidio di Maria, insieme a un minore (all’epoca dei fatti) e un terzo soggetto deceduto. La DDA, con i pm Concettina Iannazzo e Andrea Mancuso, continua a cercare i resti di Maria e i mandanti, ma il corpo distrutto rende impossibile un ritrovamento.
Il processo, ancora in corso, vede 50 imputati per reati legati alla ‘Ndrangheta, ma la verità rimane sfuggente. La Cassazione ha escluso manomissioni provate delle telecamere, complicando l’accusa contro Ascone. Vincenzo Chindamo, assistito da associazioni come Libera e Penelope, non si arrende: “L’aria ha il profumo della giustizia”, ha detto dopo gli arresti del 2023.
Oggi, nel nono anniversario della scomparsa di Maria, si è svolto un evento commemorativo a Limbadi, organizzato dal comitato “Controlliamo noi le terre di Maria”, con Libera, GOEL, Agape, Fondazione Una Nessuna Centomila e il Centro Women’s Studies Milly Villa. Davanti al cancello dell’azienda, un giardino commemorativo, progettato dagli studenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore di Vibo Valentia, e una scultura dell’artista Luigi Camarilla, illuminata da Artemide, sono stati inaugurati alla presenza della sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro e autorità locali. Lo spettacolo teatrale “Se dicessimo la verità”, di Giulia Minoli (CCO), narrerà la storia di Maria, promuovendo un dialogo con la comunità.
Le terre di Maria, affidate alla cooperativa GOEL, producono oggi frutti di legalità, simbolo di un Sud che resiste. Federica, figlia di Maria, studia giurisprudenza per onorare la madre, mentre Vincenzo parla nelle scuole, costruendo un’antimafia sociale.