“Non mi lasciare”: le ultime parole di Arcangelo all’amico che ha sparato

Per la morte del 18enne napoletano rimane in carcere Renato Caiafa che giura: “Non pensavo fosse una pistola vera, ho capito solo quando è partito il colpo ed è comparso il sangue”.

NAPOLI – Rimane in carcere Renato Benedetto Caiafa, 19 anni, accusato dell’omicidio del suo amico diciottenne Arcangelo Correra, colpito da un proiettile in piena fronte la notte del 9 novembre scorso e deceduto poche ore dopo in ospedale. Il giovane, reo confesso, difeso dall’avvocato Giuseppe De Gregorio, il 12 novembre si è presentato davanti al Gip di Napoli, Maria Gabriella Iagulli, che non ha inteso convalidare il fermo di polizia perché non sussiste il pericolo di fuga. Il magistrato requirente però ha disposto la detenzione in carcere per l’odierno indagato.

Troppi giovani vivono in ambienti devianti e si sfidano armi in pugno

Il presunto responsabile dell’omicidio, incensurato, è il fratello di Luigi Caiafa, 17 anni, che il 4 ottobre del 2020, insieme a Ciro De Tommaso, figlio di Gennaro detto ‘a Carogna, era stato beccato in flagranza dalla polizia mentre consumava una rapina in via Duomo. Appena gli agenti si avvicinarono al giovane questi, immediatamente, estrasse dalla cintola una pistola giocattolo senza tappo rosso provocando la pronta reazione dei poliziotti che fecero fuoco uccidendolo. Il 31 dicembre dell’anno dopo, poche ore prima di Capodanno, un killer entrò nel basso in via Sedil Capuano dove vive la famiglia Caiafa. Il sicario, davanti a moglie e tre figli, esplose diversi colpi d’arma da fuoco che uccisero Ciro Caiafa, 40 anni, padre di Luigi e Renato, mentre un tatuatore gli stava facendo un tatuaggio.

Il recente fatto di sangue si è consumato alle 5 del mattino in piazzetta Sedil Capuano, zona Tribunali, nel corso di una sfida fra giovanissimi: “Arcangelo lo sfidava a sparare, mostrando il petto…tutti guardavano nella loro direzione e, una volta esploso il colpo, gli avevano urlato ‘cosa hai fatto!”. La ricostruzione dei fatti contenuta nell’ordinanza di carcerazione lascia basiti. Una volta esploso il colpo, partito da una Beretta calibro 9×21 con caricatore potenziato sino a 26 colpi, Correra colpito in piena fronte, scivolava sul selciato in un lago di sangue ma ancora cosciente: ”Renà non mi lasciare…”, avrebbe detto il ragazzo all’amico stringendogli la mano. Il ragazzo veniva trasportato in scooter all’ospedale Vecchio Pellegrini dai suoi stessi amici. La vittima, però, dopo gli inutili quanto disperati tentativi dei medici per tenerlo in vita, spirava senza riprendere conoscenza.

Renato Benedetto Caiafa

Sul luogo del delitto giungevano gli agenti della Mobile partenopea, alle dipendenze del dirigente Giovanni Leuci e coordinati dal Pm Ciro Capasso, per i rilievi di rito e per i primi riscontri. Dopo una fuga iniziale Caiafa, dietro suggerimento di una zia, si presentava in questura di ritorno dall’ospedale dove aveva accompagnato la vittima. Il 19enne è indagato a piede libero per omicidio colposo, ricettazione d’arma clandestina, porto e detenzione abusiva di arma da fuoco e munizioni.

” Che guaio ho combinato – ha detto il giovane detenuto agli inquirenti Non pensavo fosse vera, non avevo mai visto una pistola prima. Stavamo giocando. Ho capito tutto solo quando è comparso il sangue sul corpo di Arcangelo. Non volevo, non volevo. L’ho trovata sulla ruota di una macchina e mentre la maneggiavo è partito il colpo. È stata una disgrazia, ve lo assicuro…”.

La piazzetta dove si è consumato il delitto

La Gip Iagulli, però, non è dello stesso avviso:” Nessuno – sostiene il giudice – avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore, per strada alla libera apprensione da parte di terzi. La criminalità tende ad acquisire questo tipo di armi che possono essere usate mille e mille volte ancora proprio perché, in quanto clandestine, sono difficilmente ricollegabili ai delitti commessi e ai loro autori”. Dunque per gli inquirenti è inverosimile la versione dell’indagato sul ritrovamento casuale della semiautomatica, anche se rimane credibile l’ipotesi del gioco finito male.

L’indagato, che lavorava saltuariamente come piazzaiolo, pare non abbia frequentazioni nell’ambito della camorra. La vittima, bravo ragazzo, si dava da fare nel negozio di papà Alessandro e mamma Antonella, e non aveva grilli per la testa. Insomma giovane sano che, come tanti altri, è rimasto vittima di un ambiente comunque deviante dove girano troppe armi, droga e troppi modelli di vita facile privi di valori ideali. Sulla scena del crimine la polizia ha rinvenuto un proiettile di pistola di un calibro diverso rispetto a quello della semiautomatica sequestrata all’indagato, che di propria iniziativa l’ha fatta ritrovare ai poliziotti. Anche in questa direzione le indagini proseguono:

Anna Elia

”Mio figlio è incensurato, non ha carichi pendenti ed è estraneo a logiche delinquenziali dice Anna Elia, madre di Renato, legata come pare alla famiglia del clan Elia del Pallonetto di Santa Lucia — non l’ho mai visto con soldi in tasca che potrebbero far pensare che abbia guadagni da affari illeciti. Aiutateci a togliere le armi dalle mani dei nostri figli”.

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