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Non ha retto alle restrizioni del carcere

La vittima, da tempo malata, era stata condannata in via definitiva per l’omicidio dell’ex moglie in concorso con il figlio il quale, per ben tre volte, ha tentato il suicidio.

TERAMO – Si è tolto la vita in cella Giuseppe Santoleri, 77 anni, condannato a 18 anni di carcere per l’omicidio della sua ex moglie Renata Rapposelli, detta Reny, pittrice di 64 anni, strangolata il 9 ottobre 2017. Per lo stesso reato era stato condannato anche il figlio della coppia, Simone Santoleri, 46 anni, che ha tentato il suicidio per ben tre volte. Il 15 giugno scorso l’uomo, malato grave, è stato ritrovato cadavere dal personale penitenziario della casa circondariale di Teramo dove scontava la pena. Si sarebbe soffocato con le lenzuola del suo letto. A darne notizia è stato Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa Polizia Penitenziaria.

Giuseppe e Simone Santoleri

Renata Rapposelli aveva fatto sapere ad amici e parenti di essere partita dalla stazione dorica per raggiungere Giulianova, cittadina abruzzese dove, in via Pescheria, vivevano l’ex marito e il figlio. Della donna però si perdevano le tracce tanto che alcuni suoi amici ne denunciavano la scomparsa. Le ricerche, protrattesi per diverse settimane, non avevano dato esito alcuno sino a quando il corpo senza vita della donna, per altro irriconoscibile, era stato ritrovato tre mesi dopo in aperta campagna, più esattamente in contrada Pianarucci, nel Comune di Tolentino, in provincia di Macerata, dove era stato trasportato e in quel luogo fuori mano abbandonato.

Gli investigatori accerteranno invece che Reny sarebbe stata ammazzata a casa dell’ex coniuge e del figlio per mano proprio dei due congiunti. Il femminicidio sarebbe avvenuto dopo una furiosa lite per motivi economici: la pittrice aveva chiesto all’ex marito di pagare 3mila euro di arretrati del suo mantenimento che l’uomo però non avrebbe onorato. Al culmine del diverbio la donna sarebbe stata presa alla gola dal figlio che l’avrebbe poi soffocata alla presenza del padre che nulla avrebbe fatto per evitare il delitto.

Renata Rapposelli detta Reny con una delle sue opere

Giuseppe Santoleri era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione, pena poi ridotta a 18 anni in secondo grado. Secondo i giudici, l’esecutore materiale del delitto dell’artista testina era stato il figlio Simone, condannato a 27 anni di carcere. Padre e figlio dunque si sono resi responsabili, con sentenze andate in giudicato dunque definitive, dei reati di concorso in omicidio volontario e soppressione di cadavere:

Santoleri è stato ammazzato dallo Stato italiano, dalle lungaggini processuali e dall’incuria ed inadeguatezza dell’Istituto carcerario – ha detto l’avvocato Federica Di Nicola, legale di fiducia della vittima – Era un uomo malato, anziano, sfinito da un vissuto logorante. Un uomo le cui condizioni di salute si sono appalesate incompatibili con la detenzione carceraria. Per questo ho lottato per ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione, con istanza depositata il 18 gennaio scorso presso il tribunale di Sorveglianza dell’Aquila. Avevo trovato una struttura in Selva di Altino, in provincia di Chieti, idonea a garantire a Giuseppe cure necessarie ed adeguate. Il tribunale di Sorveglianza, noncurante delle precarie condizioni di salute del Santoleri, ha disposto ben tre rinvii di udienza ovvero per il primo aprile, il 6 giugno e il 18 luglio. Il mio assistito mi aveva preannunciato che non avrebbe aspettato l’udienza del 18 luglio, ma avevo cercato di confortarlo e rassicurarlo, promettendogli che sarebbe stato l’ultimo rinvio”.

Il cadavere della pittrice ritrovato in aperta campagna

Anche il figlio Simone ha tentato, per tre volte, di togliersi la vita durante la detenzione. L’ultima volta, nel dicembre del 2021, l’uomo era stata ricoverato in Rianimazione presso l’ospedale di Viterbo, città in cui scontava la condanna. Il detenuto pare si fosse avvelenato con alcuni farmaci appena ricevuta la notizia della condanna a 27 anni di carcere, confermata in Appello, per l’omicidio della madre. I giudici, in secondo grado, avevano ridotto la pena di 6 anni soltanto al padre confermando al figlio il verdetto di primo grado. In questo caso interveniva il garante abruzzese dei detenuti, Gianmarco Cifaldi, che già aveva espresso perplessità su quanto accaduto a Simone Santoleri nel carcere di Pescara. Il garante, all’epoca dei fatti, informava del tentato suicidio, non il solo secondo Cifaldi, l’allora sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto.

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