Non disturbare il “manovratore”

Una volta sui vecchi tram di Milano al posto di guida era affisso un cartello su cui era scritta la frase “Non disturbare il manovratore”. Stessa cosa vogliono i politici: non disturbateli, nemmeno quando si fanno i fatti loro.

Roma – Infatti l’addetto alle manovre non doveva essere distratto per nessun motivo perché doveva restare concentrato alla guida del tram. Col tempo, nel linguaggio giornalistico la locuzione è diventata idiomatica, a significare che il potere politico a tutti i livelli si è dimostrato riluttante a regole e controlli. Il mese di giugno scorso, una nota dell’ANSA (l’Agenzia nazionale Stampa associata) ha riportato la seguente notizia:

I politici, i manovratori di sempre. Non disturbateli…

“L’Associazione magistrati della Corte dei conti continua ad esprimere preoccupazione per la decisione del Governo di limitare le funzioni di controllo concomitante sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e di prorogare lo scudo erariale, le cui ragioni fondanti legate all’emergenza sono venute meno”.

Sergio Rizzo

La nota concludeva: “Queste norme metterebbero a rischio il sistema di tutele poste a presidio della sana e carretta gestione delle risorse pubbliche”. Si tratta di parole forti, provenienti non da un covo di oppositori rivoluzionari, ma da un organo di rilievo costituzionale, con funzioni di controllo e giurisdizionali, previsti dagli articoli 100 e 103 della Costituzione italiana, che la ricomprende tra gli organi ausiliari del Governo. E’ da un po’ che si sentono strani rumori di fondo e nell’aria si sta levando un pessimo sentore di “cricca”. Il termine, una decina d’anni fa, ebbe una vasta eco giornalistica e fu il titolo di un libro di Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera. Come riporta il vocabolario “Treccani” ci si riferisce a “un gruppo d’intriganti, intenti a procurarsi reciproci favori; combriccola, camarilla”.

Per la cronaca la cricca in questione, composta da dirigenti pubblici e imprenditori privati, inquinò gli appalti sui grandi eventi, stringendo un patto corruttivo con tangenti e favori agli amici, regalie ed elargizioni di lucrosi incarichi. del Questo governo col refrain della sburocratizzazione delle procedure e dello snellimento degli atti amministrativi sta marciando compatto verso l’annullamento di qualsiasi tipo di controllo. Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge che contiene “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziari”.

Tra le otto norme, vi è quella che abroga il reato di abuso d’ufficio previsto dall’art. 323 del codice penale. Questo tipo di reato è stato osteggiato anche dai sindaci di centro-sinistra, a testimoniare come la casta su certi temi non conosce ideologie. Si trattava di un compimento di un atto o un fatto materiale posto in essere violando un dovere inerente all’ufficio ed espressione di un cattivo uso delle funzioni pubbliche. Per questi motivi, gli amministratori avevano paura di firmare qualsiasi atto. Lo sappiamo tutti che la burocrazia in Italia è una malattia endemica. Rendere più snelle le procedure è cosa buona e giusta, soprattutto eliminare i conflitti di competenze per lo stesso atto amministrativo.

Ma ciò che stride con una democrazia matura è l’idea sottostante a qualsiasi atto tendente ad eliminare “lacci e lacciuoli”. Ovvero che il potere può fare “il bello e cattivo tempo e ciò che più gli aggrada” e guai a chi contesta. Come disse il Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi… non siete un cazzo”. Ed hanno pure l’ardire di parlare di “libertà”. Sì, quella di fare i “porci comodi propri”.

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