I cambiamenti climatici in atto negli ultimi decenni hanno avuto ripercussioni sulle montagne provocando la fusione di molti ghiacciai e la trasformazione dell’ambiente naturale. La mano dell'uomo ha colpito ancora? Tutte le responsabilità ricadono davvero sul genere umano? Lo spiega uno scienziato di fama internazionale.
Milano – Lungi da qualsiasi ipotesi seppur minima di emulare il titolo della famosa e melensa telenovela messicana degli anni ’80 del secolo scorso “Anche i ricchi piangono” (mentre i poveri sono talmente disperati che non possono permettersi di farlo) ma è un’immagine che tenta di spiegare come i cambiamenti climatici abbiano alterato pure il paesaggio di montagna. Un mix terribile di trasformazioni antropiche e dell’ambiente naturali, a dimostrazione che l’uomo ogni volta che decide di intervenire rompe, cosa lo lascio immaginare! Neanche le forti, grandi, immense montagne hanno resistito all’onnipotenza umana ed al lento divorare della corteccia naturale del suo habitat. L’aspetto più visibile è, probabilmente, la fusione dei ghiacciai alpini. Nel corso degli anni le Alpi, infatti, hanno perso il candido mantello (ah, quante immagini struggenti e romantiche ne sono scaturite!) che le caratterizzava: era il proprio biglietto da visita e si estendeva per poco meno di 3000 Kq. I ghiacciai oltre a stuzzicare la fantasia degli adolescenti e a creare un’atmosfera quasi spirituale per il fascino ed il timore che trasmettono, sono una significativa risorsa dal punto di vista idrico, paesaggistico e storico.
E’ quanto sostiene Claudio Smiraglia dell’Università degli Studi di Milano, nonché membro del Comitato Glaciologico Italiano e del Cai, Centro Alpino Italiano, sezione di Corsico-Milano. Le montagne rappresentano, inoltre, una forte attrattiva per gli alpinisti e gli escursionisti e/o semplicemente per i turisti. Allo stato attuale rappresentano il più chiaro indicatore dei cambiamenti climatici. Origine, evoluzione ed estinzione sono una sorta di triade vitale della montagna, strettamente legati sia a fattori morfologici che meteo-climatici. L’esistenza di un ghiacciaio è il frutto del delicato equilibrio fra precipitazioni solide invernali e temperature estive. Quando per una serie di cause, ad esempio riduzione delle nevicate e/o incremento delle temperature estive oppure al contrario, il ghiacciaio si trasferisce a quote più elevate per la ricerca di un nuovo equilibrio fino a quando questo processo è consentito dalla morfologia delle montagne, altrimenti si dirige verso quote inferiori. L’indicatore più evidente osservabile anche ad occhio nudo è l’altezza del limite delle nevi, dove c’è il bacino di ablazione, che separa la zona in ghiaccio vivo dal bacino di accumulo, la zona coperta da neve o nevato. Con la riduzione delle nevicate e l’aumento delle temperature che si sono verificate negli ultimi decenni si è accentuato lo squilibrio dei ghiacciai che ha avuto inizio nella metà dell’800, con la fine della Piccola Età Glaciale.
Questo processo ha provocato riduzioni delle lunghezze, delle aree e dello spessore ora misurabili con più precisione rispetto al passato, grazie all’utilizzo dei satelliti. Una sintesi di questi dati raccolti è offerta dal World Glacier Monitoring Service di Zurigo. In sintesi risulta quanto segue:
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I bilanci di massa, ovvero le variazioni medie di spessore espresse in acqua equivalente sono costantemente negativi, passati da una riduzione di 14 cm nel periodo 1976/1985; a -58 cm in quello 1996/2005; a -92 nel 2011/2016;
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per le Alpi italiane il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani del 2015 riferito ai dati 2007/2011 ha elencato 903 corpi glaciali, cioè ghiacciai in senso stretto e glacionevati, con una superficie complessiva di 369 kq;
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il confronto con i dati precedenti ha messo in evidenza un incremento numerico dei ghiacciai ed una riduzione areale del 30%. Dalle immagini del satellite nel 2016 è emersa un’ulteriore riduzione areale di 349 kq, con una numerica di 881
Al di là della crudezza delle cifre, preoccupa il rapido ed intenso cambiamento del paesaggio alpino che sta diventando sempre più nero. Emergono, infatti, dai ghiacciai “isole rocciose” che causano una frantumazione in 3 tronconi da cui scaturisce l’apparente aumento dei ghiacciai nelle prime fasi di deglaciazione ad esempio La Brenva sul Monte Bianco, il Lys sul Monte Rosa ed i Forni sull’Ordles-Cevedale, distinti e non più comunicanti. Le parti del ghiacciaio ancora in vita si stanno coprendo di detriti rocciosi cadenti dalle pareti vicine, mettendo in atto il passaggio da “ghiacciaio bianco” (debris free glacier) a “ghiacciaio nero” (debris covered glacier). Alla fronte dei ghiacciai emergono nuovi laghi, di solito effimeri, che col ghiaccio penetrante in acqua forma piccoli iceberg, i quali possono senza dubbio stimolare pensieri poetici e magici per dare luogo a suggestivi paesaggi nordici. All’interno della parte inferiore dei ghiacciai più grandi si formano giganteschi crepacci circolari e caverne che crollano all’improvviso, come un vero e proprio “collasso” provocando arretramenti anche di centinaia di metri ogni anno.
Qual è il futuro delle Alpi? E’ immaginabile e pensabile un paesaggio alpino senza ghiacciai? Nella millenaria storia geologica delle Alpi si sono già verificate riduzioni o scomparse del loro mantello glaciale. Difficile fare delle previsioni, tuttavia si possono immaginare scenari ipotetici fondati su modelli evolutivi dei fattori antropici e naturali. Secondo il trend degli ultimi anni, con molta probabilità, i ghiacciai continueranno ad arretrare ed a rimpicciolirsi. E non è una previsione che promette bene per tutti noi. Purtroppo.