L'attentato al presidente Antoci, all'epoca dei fatti, non è stata altro che la risposta della mafia al clima di legalità e trasparenza instaurato dal responsabile del Parco all'interno dell'amministrazione.
Messina – Domani 2 marzo prende il via a Messina il Maxiprocesso “Nebrodi” che vede alla sbarra 111 imputati e con essi un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi. Per anni e anni nessuno si è azzardato ad interrompere il meccanismo. Chi ci provava rischiava la vita.
Il processo segue l’operazione di polizia del 15 gennaio 2020 denominata “Nebrodi” con 94 arresti e il sequestro di 151 aziende agricole per mafia, una delle più vaste operazioni antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’Estero.
Più di mille uomini della Guardia di Finanza di Messina e dei Carabinieri del ROS hanno assicurato alla giustizia numerosi componenti di famiglie mafiose contestando loro reati che ruotano attorno al lucroso affare dei Fondi Europei per l’Agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con il cosiddetto “Protocollo Antoci”, ideato e fortemente voluto dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. L’attività della DDA di Messina, diretta dal procuratore Maurizio De Lucia, ha squarciato il velo di silenzi e omertà che avevano soggiogato e sottomesso per anni un intero territorio e la Sicilia tutta.
Così scrivono i magistrati nell’ordinanza: “…In gran parte, oltre quelli depredati, si usavano terreni liberi, presi a caso da tutta la Sicilia e da zone impensabili dell’Italia, usati, spacciati come propri, per le raffinate truffe delle associazioni…La mafia che ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali…Il campo di maggiore operatività è divenuto il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione Europea, come detto più remunerative e meno rischiose…”.
Un meccanismo interrotto proprio da quel protocollo che Giuseppe Antoci ha fortemente voluto insieme al prefetto di Messina Stefano Trotta e che oggi continua ad essere applicato con rigore dal prefetto Maria Carmela Librizzi. Quello strumento, recepito nei tre cardini del nuovo codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015, ha posto le basi per una normativa che consente a magistratura e forze dell’Ordine di porre un argine ad una vicenda che durava da tanti anni. Giuseppe Antoci, oggi presidente onorario della Fondazione Caponnetto, ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e all’intervento tempestivo dei valorosi poliziotti della sua scorta, tutti promossi per merito straordinario e medaglia al valore.
“...Nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio – scrivono i magistrati – trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato… Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia…”.
“…Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni – conclude Antoci – ricca, potente e violenta, ed è per questo che quella notte volevano fermarmi. Volevano bloccare l’idea di una legge nazionale e dunque tutto quello che sta accadendo oggi. Io sarò presente domani all’Aula Bunker e li guarderò dritti negli occhi, uno per uno, senza paura, senza indugi e con l’unica forza che ho: quella dello Stato…”
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