Gli ultimi dati dicono che l’occupazione cresce, ma trainata dalla fascia più “anziana”. Invece i giovani e le fasce intermedie perdono posti e restano indietro.
Il mercato del lavoro italiano mostra certi tratti distintivi di quella che può essere definita come una forma mentis tipicamente nostrana. La contraddizione è il suo abito prediletto e l’ambivalenza il suo cappotto. Non si è ancora placata la soddisfazione della compagine governativa sull’occupazione in crescita, notizia che ha suscitato grida di gioia e brillantezza negli occhi tra gli autori di questo… miracolo!
Ma un siffatto evento prodigioso appartiene alla metafisica, non fa parte dell’ordinaria politica nazionale. Infatti, con occhi meno brillanti ma più attenti alle disamine socioeconomiche, si è rilevato che le grida di giubilo e i suoni di fanfare per l’avvenimento, potevano pure essere evitate. E’ vero che l’occupazione è in crescita, ma riguarda gli ultra 50enni, con 124 mila posti di lavoro in più. E chi se ne frega, potrebbero esclamare i fautori della crescita purchessia, senza andare a fare le pulci al fenomeno!

E invece i dati vanno interpretati per comprendere la direzione presa dal mercato del lavoro. La cronaca deve essere completa e, quindi, vanno inserite tutte le classi d’età, che, invece, arrancano. Secondo gli esperti, questo trend è spiegabile con l’aumento dell’età pensionistica, per cui i lavoratori si vedono costretti a rimanere sul mercato.
A restare fermi sono i 25-34enni, la fascia d’età di ingresso nel mondo dell’occupazione, con meno presenze rispetto ai mesi precedenti. La musica non cambia tra i giovanissimi, ossia chi è compreso nella fascia d’età tra i 15 e 24 anni e tra i 35-49enni, il cui crollo è rappresentato da ben 120 mila occupati in meno in un anno. Si sono incrementati i contratti a tempo indeterminato, oltre 67 mila e sono diminuiti quelli a termine. Una buona notizia certo, ma dipende dal maggior numero di lavoratori più anziani e a quest’età, i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono più frequenti rispetto ai più giovani.

I dati ISTAT vanno letti con attenzione. Infatti, la crescita occupazionale di cui si parla, potrebbe essere stata causata, in parte, dalla cessazione della cassa integrazione, per cui alcuni lavoratori sono tornati attivi. Ovvio che se prima risultavano non occupati, ora la rilevazione dice il contrario. Pur non prendendo in esame l’invecchiamento della popolazione e analizzando i dati scevri da questo andamento, sono sempre gli anziani che guidano la riscossa del mercato del lavoro. I giovani sono stati respinti nelle retrovie, dopo che erano stati in prima linea nel periodo post-pandemico. Lo scorso mese di maggio l’occupazione ha raggiunto un +62,9%, in maggioranza donne, +46 mila rispetto ai maschi +34 mila. Sono calati, finanche, gli inattivi, ossia persone che non stanno lavorando e non sono attivamente alla ricerca di un lavoro.
Ma siamo sempre lì, in aumento sono gli anziani, evidentemente, si saranno sottoposti a qualche cura ricostituente per arrivare primi sul traguardo! L’aspetto più stridente è che ci si trova di fronte ad un mercato del lavoro “ballerino”, nel senso che una volta si sposta da una parte e dopo l’altra. Si sente il bisogno, per evitare le entrate ed uscite da esso, di un’autorità regolatrice che possa impedire ai lavoratori di restare vittime delle sue oscillazioni. Altrimenti una volta saranno gli anziani ad emergere, un’altra i giovani e poi quelli “di mezzo”. C’è sempre qualcuno che, a ruota, viene espulso!