Uno stato di sospensione dai pensieri, spesso sottovalutato, può avere effetti benefici sulla salute mentale. A confermarlo è anche la neuroscienza.
“Meglio non pensarci!” Lo si dice quando una persona è preoccupata per qualcosa e nel suo cervello balena sempre la stessa idea che può essere anche martellante. Per confortare il malcapitato, ma non è così facile, come scartare una caramella. Il problema di pensare troppo può rivelarsi molto serio. Spesso è legato a periodi di stress, ansia, insicurezza o perfezionismo, ma può anche essere un sintomo di disturbi psicologici più ampi, alimentari o ossessivo-compulsivi. Eppure, senza giungere a questi casi estremi, la neuroscienza ha affermato che non pensare fa bene alla mente. Una situazione raccapricciante per lo scrittore e giornalista di inizio ‘900 Giuseppe Prezzolini che così sentenziò: “Finché vivo vorrei pensare. Che terribile pensiero è il pensare che si può vivere senza pensare”.

Al di là del pensiero prezzoliniano, secondo gli scienziati nel momento in cui si attua una qualsiasi banale attività quotidiana, spesso si pensa ad altro, al punto di avvertire la mente come vuota. Ci si accorge di questo stato quando si interrompe l’atto che si sta compiendo.
Un’equipe di studiosi del Belgio, Francia e Australia dopo aver consultato la letteratura sul tema ha deciso di verificare se il “vuoto mentale” possa essere associato a mutamenti fisiologici, neurali e cognitivi. Ebbene la mente vuota esiste ed è diversa da quella impegnata in pensieri. Al momento non si sa come si appalesi e quanto duri. Nel linguaggio comune il concetto è molto vario nel senso che può essere descritto o come oblio o come assenza d’attenzione. Poiché gli studiosi valutano ciò che ascoltano, capita che diano definizioni a volte alla memoria, altre all’attenzione. Ma né l’una e né l’altra sono coinvolte nel vuoto mentale. La definizione più appropriata, secondo gli scienziati, è quella di non avere pensieri, molto generica ma idonea al campione da ascoltare.

Dal punto di vista diagnostico è stata utilizzata l’elettroencefalografia (EEG) per valutare l’attività elettrica del cervello e la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che crea una mappa dell’attività cerebrale, mostrando quali aree del cervello sono più o meno attive durante una determinata attività. Secondo alcuni indici valutati, pare che il vuoto mentale è più ricorrente con le persone che soffrono di disturbo da deficit d’attenzione (ADHD) o di disturbi d’ansia, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per meglio stabilire la correlazione tra esso e problemi di salute mentale.
In generale l’ipotesi più accreditata è che il vuoto mentale dipenda dalla stanchezza e dallo staccare per qualche attimo le relazioni tra le aree del cervello. Secondo la neuroscienza lo studio del vuoto mentale è utile per comprendere i meccanismi essenziali del cervello. Dal punto di visto neurologico manifesta degli aspetti simili agli stati cerebrali del sonno. Gli studi e i benefici del vuoto mentale vanno intensificati proprio in questo particolare momento storico, in cui le nostre menti ricevono stimoli in eccesso, dalle relazioni familiari ai rapporti di lavoro per finire a quelli derivanti dai device tecnologici.
D’altronde la saggezza partenopea, che affonda le sue radici in una tradizione millenaria, è solita proferire il motto “Stai senza pensieri” in contrapposizione a “non uccidere la nostra salute”. Ad intendere che le preoccupazioni rendono difficile la sopravvivenza. Meglio, quindi, liberarsi degli affanni per sopportare meglio la quotidianità della vita!