Meglio il carcere che il lavoro!

Ha suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica la storia di un condannato che, anziché espiare la sua pena svolgendo lavori manuali per 6 mesi, ha preferito far ritorno in carcere per scontare il fio.

Roma – Il lavoro, sin dalla prima presenza dell’uomo sulla terra, ha rappresentato uno dei cardini su cui si fonda la società. Particolarità che si è molto accentuata con l’avvento del capitalismo che, in generale, può essere definito, come un modo di produzione il cui scopo è il profitto. Quest’ultimo, oltre ad essere utilizzato come ricchezza personale, può essere immesso nuovamente nell’attività produttiva per migliorarla e ricavarne altri profitti.

Affinché il processo vada a buon fine, è necessario che ci sia il lavoro, inteso come attività che mette in atto conoscenze rigorose e metodiche, siano esse intellettuale o manuali, per la produzione di beni e servizi in cambio di un corrispettivo monetario, lo stipendio o salario. È un’attività, cosi definita dai manuali di economia: “Il lavoro è quell’attività che non è fine a sé stessa, ma che tende al procacciamento di altre utilità”. Ora questa caratteristica così importante per le società di ogni tempo è stata connotata nel corso dei secoli da sudore, fatica, per non parlare di sfruttamento e vessazione. Come dire che non è una passeggiata di piacere, tutt’altro. Dal punto di vista etimologico il termine deriva dal latino “labor”, fatica appunto.

Un altro termine per definire il lavoro è travaglio, che deriva dal latino tripalium (uno strumento di tortura). Ad esempio, nel dialetto siciliano lavorare si dice travagghiari, mentre in quello piemontese travajè. Così come nella lingua ufficiale francese, lavoro si dice travail. Ancora oggi in molti dialetti regionali si usano termine come “andare a faticare” per indicare andare a lavorare. È molto probabile che la cultura popolare, affondando nella notte dei tempi, abbia colto l’autentico significato della parola lavoro e dei suoi effetti.

Deve averla intesa in questo modo, un uomo che stava scontando una pena detentiva di sei mesi in una comunità in cui doveva svolgere lavori manuali. “In carcere si fatica meno” è stata l’inconsueta richiesta giunta ai carabinieri di Besana Brianza, in provincia di Monza. Meglio rientrare in cella che sottoporsi a turni di lavoro. La notizia, come si dice in questi casi, è balzata agli onori della cronaca, qualche settimana fa, destando un certo sbigottimento. La richiesta è stata accolta e il protagonista della storia è stato ricondotto in carcere, con suo sommo piacere. Della serie: “Quando lo Stato riesce a soddisfare i bisogni dei suoi cittadini”.

L’amante del carcere è una vecchia conoscenza delle forze dell’Ordine. Si tratta di un pluripregiudicato per reati di droga e contro il patrimonio e, soprattutto, per le varie truffe online effettuale in tutto il Nord Italia. Dallo scorso mese di dicembre era in una comunità per scontare una pena in seguito a una condanna per guida in stato d’ebbrezza, sotto gli effetti di stupefacenti. Il lavoro da svolgere in comunità variava tra dare una mano in cucina, incombenze varie, anche agricole. Evidentemente si saranno trattate delle cosiddette “dodici fatiche di Ercole”, se il nostro eroe ha preferito il ritorno in cella al lavoro! I militari l’hanno arrestato, eseguendo la sospensione in prova ai servizi sociali. Il “nostro” non ha opposto alcuna resistenza e tutto compiaciuto si è fatto accompagnare in carcere dove sconterà gli ultimi mesi restanti.

La storia ricorda molto vagamente un film di Roberto Rossellini: Dov’è la libertà…? del 1954, interpretato dal magistrale Totò, in cui il protagonista dopo anni di carcere, esce di prigione. Ma di fronte ai soprusi della sua famiglia, nel frattempo arricchitasi illecitamente, preferisce il carcere, in cui ritorna con soddisfazione. Forse sono due modi diversi di dirci quanto sia duro e faticoso vivere!                                                           

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa