L’erede della dinastia della moda freddato la mattina del 27 marzo 1995 nell’androne del suo ufficio. La verità emerse dopo due anni: a orchestrare l’agguato era stata l’ex moglie, Patrizia Reggiani.
Milano – Era una mattina fredda di primavera di trent’anni fa, il 27 marzo 1995, quando Maurizio Gucci, 47enne erede della dinastia della moda, fu freddato nell’androne del suo ufficio in via Palestro 20, a Milano. Tre colpi di pistola, uno alla tempia decisivo, misero fine alla sua vita, mentre il portiere Giuseppe Onorato, ferito al braccio, assistette impotente alla fuga del killer su una Renault Clio verde. A distanza di tre decenni, la vicenda – resa poi ulteriormente celebre dal film House of Gucci – resta un intricato intreccio di ambizione, tradimenti e di una giustizia che ha impiegato quasi due anni per trovare la verità.
Il mandante? Patrizia Reggiani, l’ex moglie di Gucci, che non accettò mai la fine del loro matrimonio e la perdita del controllo sul patrimonio di famiglia. Dopo il divorzio del 1994, Reggiani – soprannominata la “Vedova Nera” – covava un rancore che sfociò in un piano tanto folle quanto dettagliato. Con l’aiuto di Pina Auriemma, amica e “maga” napoletana, assoldò un gruppo di personaggi improbabili: Ivano Savioni, portiere d’albergo; Orazio Cicala, pizzaiolo fallito; e Benedetto Ceraulo, il sicario siciliano che sparò i colpi fatali. Costo dell’operazione: 600 milioni di lire.
Le indagini, inizialmente, si concentrarono sulla faida familiare e sui debiti milionari di Gucci, che aveva venduto le sue quote a Investcorp nel 1993 per 270 miliardi di lire, estromettendo la famiglia dalla maison. Gli investigatori seguirono piste finanziarie internazionali – dai casinò di St. Moritz ai porti di Maiorca – ma trascurarono la pista più ovvia: Reggiani, che non faceva mistero del suo odio per l’ex marito. “Chiedevo a tutti, anche al salumaio, se qualcuno avesse il coraggio di ammazzarlo”, disse anni dopo in un’intervista a Sette. Eppure, ci vollero quasi due anni e un’operazione sotto copertura per inchiodarla.
La svolta arrivò nel gennaio 1997, quando un cuoco, Gabriele Carpanese, informatore della polizia, riferì a Filippo Ninni, capo della Criminalpol, i vaniloqui di Savioni, dichiarando di averlo ascoltato mentre diceva di conoscere molti dettagli sull’omicidio Gucci e anche di essere stato coinvolto personalmente nel caso. Un agente madrelingua spagnola, fingendosi un narcotrafficante colombiano con 120 omicidi alle spalle, si infiltrò nella rete. Le intercettazioni nell’hotel Adry di via Lulli – “Se non facciamo qualche cazzata, non ci piglieranno mai”, diceva Auriemma a Savioni – e le confessioni estorte portarono alle manette. Reggiani, arrestata con la sua pelliccia di visone e i suoi gioielli, non confessò mai ufficialmente, ma le prove erano schiaccianti.
Nel 1998, il pm Carlo Nocerino chiuse il cerchio: 29 anni a Reggiani e Cicala, ergastolo a Ceraulo, 25 anni ad Auriemma e 26 a Savioni. “Maurizio Gucci è morto per i debiti di gioco di Cicala, i sogni di grandezza di Ceraulo e i pochi spiccioli di Savioni”, disse Nocerino nella requisitoria. Reggiani scontò 17 anni a San Vittore – “Victor’s Residence”, lo chiamava – uscendo nel 2014 per i servizi sociali. Auriemma e Savioni sono liberi dal 2010 e 2012, Cicala è morto, Ceraulo resta in carcere.