Matteo Renzi e la sfida del “Centro”

L’ex premier Matteo Renzi lavora per rafforzare un nuovo “Centro” politico, tentando di fare breccia sui delusi di Forza Italia, scontenti del Pd e altri dalla lacrimuccia facile. Le incomprensioni con Calenda sembrano superate.

Roma – Nei progetti di Renzi c’è quello di irrobustire il “Centro” con i delusi di Forza Italia, con chi nel Pd non può stare con Schlein e con altri insoddisfatti. D’altronde finché il Pd sarà così a sinistra e la destra sarà così sovranista ci saranno spazi enormi per un nuovo centro, almeno così è convinto l’ex premier, che si è rassegnato ormai alle incomprensioni con Calenda che sembrano archiviate.

Incomprensioni archiviate tra Renzi e Calenda?

“A Calenda ho già dato tutto. L’ho fatto ministro e ambasciatore, gli ho dato le firme senza le quali non si sarebbe potuto candidare e la guida della lista. Purtroppo, però Carlo abbandona le cose a metà: l’ha fatto al Parlamento Ue, l’ha fatto al Comune di Roma e l’ha fatto con la federazione del Terzo polo. Mi spiace ma rispetto le sue scelte. Io però mi occupo di altro. In Europa abbiamo visione, relazioni, credibilità: su questo sono al lavoro, non su altro”, sentenzia Renzi.

Entusiasti dei piani centristi dell’ex presidente del Consiglio diversi europarlamentari, da Danti di Iv a Borghi, capogruppo di Azione Italia-Viva al Senato. Piace l’idea di uno spazio politico che vada oltre una destra sovranista ed una sinistra populista per un’alleanza liberaldemocratica senza pregiudizi, attenta ai problemi e non alle ideologie, dice Marcucci dei Libdem. L’amarezza del leader di Azione non si fa attendere:

“…Agli attacchi personali di Renzi non risponderò. Per fortuna questa storia è alle spalle di Azione. Ma dire che il salario minimo comporta un aumento delle tasse è una menzogna. Ed è una brutta menzogna, sulla pelle di lavoratori poveri, da parte di qualcuno che lo proponeva in campagna elettorale, nel 2018, a dieci euro, per prendere voti”, twitta mentre è in corso il divorzio tra i gruppi di Azione e Italia Viva.

L’accusa sul salario minimo scatena una disputa fra Azione e Italia-Viva

Insomma, le prove per cercare un ruolo ed uno spazio moderato è divenuto un esercizio sempre più praticato, così come lo è nella destra più oltranzista dove è in atto un combattimento dell’area di Alemanno che contrasta quella governista di Meloni. Tutti, dunque, cercano un teorico spazio virtuale nel quale argomentare le proprie proposte, di destra, centro e sinistra, che però non pare galvanizzino un elettorato sempre più stanco e disilluso che, comunque, non pare così propenso a dibattiti ideologici, ma più incline ad una risoluzione, da chiunque provenga, ai propri problemi familiari e sociali. Che sono tanti. Anche il M5s è sul piede di guerra.

Il “salario minimo” è una battaglia che è partita già l’anno scorso nella precedente legislatura e che non ha trovato allora tanti alleati o partiti dell’opposizione e della maggioranza che hanno abbracciato tale iniziativa. Così Conte avverte i suoi di non farsi scippare la battaglia sul salario minimo dagli altri partiti. In particolare, dal Pd, in prima istanza sordo e freddo a tale iniziativa, così come lo era per il RdC, ai tempi del governo giallo-verde. Intanto, la querelle Pd-Delmastro diventa sempre di più un caso politico. I Dem chiederanno di essere parte civile nel processo, che partirà il 29 novembre con l’udienza preliminare.

Si badi, non sarà il Pd, in quanto partito politico, a chiedere di assumere questo ruolo, bensì i singoli parlamentari coinvolti nel caso Cospito, ovvero Orlando, Serracchiani, Verini e Lai. Una battaglia politica che vorrebbe trasformarsi in strumento di lotta giudiziaria. Però non distinguere la politica dalla via giudiziaria è un limite che riporta a precedenti periodi, per certi versi bui. Il maldestro show avrà inizio e consacrerà, ancora una volta, la voglia di primeggiare nelle prime pagine dei quotidiani per una insana voglia di protagonismo legalitario. Ma quando c’è rabbia, risentimento e voglia di vendetta si offuscano le linee di demarcazione tra politica e giustizia. La mancanza di lucidità fa anche dimenticare gli effetti boomerang che può generare, all’interno di un partito.

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