Manuela Murgia, un mistero lungo 30 anni

Scomparsa a 16 anni e ritrovata morta ai piedi di una rupe: tra dubbi, omissioni e interrogativi mai chiariti, la famiglia di Manuela Murgia continua a chiedere giustizia.

QUARTU SANT’ELENA (CA) – Sono passati trent’anni da quel 4 febbraio 1995, ma il caso di Manuela Murgia, la sedicenne trovata cadavere ai piedi di una rupe in una zona militare, a Cagliari, continua a lasciare aperti inquietanti interrogativi. La versione ufficiale parla di suicidio ma la famiglia di Manuela non ha mai creduto a questa ricostruzione. Troppe le incongruenze, troppi gli elementi mai chiariti. Troppe le ombre ancora da dissolvere.

La scomparsa di Manuela Murgia

È una mattina come tante quella del 4 febbraio 1995. In casa Murgia, con Manuela – 16 anni – c’è soltanto il padre. La madre è al lavoro, così come il fratello Gioele, mentre le sorelle – Elisabetta e Anna – sono a scuola. Manuela, che da poco si è trasferita con la famiglia da Cagliari a Quartu, ha temporaneamente lasciato gli studi, in attesa di riprendere a settembre.

Alle ore 12, Manuela esce di casa. Sul tavolo lascia tre oggetti: un cordless, un profumo e un rossetto. Indossa un paio di jeans sopra il pigiama e un maglioncino su una canottiera intima. Quest’ultima non verrà mai ritrovata. Così come le chiavi di casa. Un dettaglio che, insieme al fatto che si fosse preparata “di tutto punto”, fa escludere alla famiglia la volontà di togliersi la vita. “Non doveva incontrare un’amica. Si era fatta carina, probabilmente per una persona importante” hanno raccontato le sorelle.

Il ritrovamento del corpo

Il giorno dopo, il 5 febbraio, esattamente 24 ore dopo la scomparsa, una telefonata anonima giunge alla centrale operativa della polizia. L’indicazione è precisa: lì, nella gola del Tuvixeddu, a Cagliari, ai piedi di una rupe di 30 metri, c’è il corpo senza vita di una giovane donna. Si tratta proprio di Manuela Murgia. Il luogo si trova in una zona impervia, recintata e inaccessibile, appartenente alla Marina Militare. Per raggiungerlo, la ragazza avrebbe dovuto percorrere strade sterrate e scavalcare due reti, una metallica e l’altra in filo spinato. Eppure, gli stivaletti che indossava, con suola a carro armato, risultano puliti, così come i vestiti, che non riportano né strappi, né macchie.

Gli stivaletti di Manuela Murgia

Un altro dettaglio inquietante riguarda i collant velati, che solitamente si smagliano con facilità: anche questi sono perfettamente intatti. Il corpo di Manuela, invece, porta i segni di una violenza: tagli sulla schiena, abrasioni. “Qualcuno l’ha aggredita e poi rivestita”, sostengono i familiari. Sul maglioncino sotto il montgomery sono presenti residui di erba ma il cappotto è inspiegabilmente pulito.

Rimane un’ombra sulla possibile violenza sessuale subita dalla giovane prima della morte. Un altro elemento controverso è il ritrovamento di tracce di semolino nello stomaco di Manuela, un alimento che non aveva consumato a casa prima di allontanarsi, avendo pranzato tra le 14.30 e le 15.00, mentre l’ora della morte viene collocata tra le 18.00 e le 20.00.

A minare ulteriormente la tesi del suicidio c’è anche la testimonianza della madrina di una delle sorelle di Manuela, la quale avrebbe dichiarato di aver visto la sedicenne il giorno della scomparsa a bordo di un’auto blu metallizzata in compagnia di un uomo. Sebbene Manuela avesse un fidanzato di otto anni più grande, quest’ultimo dichiarò di non vederla da dieci giorni a causa della fine della loro relazione.

Manuela Murgia in una foto dell’epoca

Le indagini e la battaglia per la verità

Nel fascicolo aperto dopo i fatti, i magistrati scrivevano che le indagini non erano riuscite a chiarire le circostanze e le cause della morte di Manuela Murgia, lasciando aperti diversi scenari: da un tragico incidente, a un’azione dolosa da parte di terzi, fino a un possibile investimento stradale colposo seguito dall’occultamento del corpo. Il caso fu riaperto nel 2012 e ben presto archiviato, poiché la procura non ritenne che fossero emersi elementi realmente significativi.

I familiari avevano scoperto che Manuela nascondeva in casa una somma di denaro insolitamente elevata per la sua età e per le possibilità economiche della famiglia. Inoltre, riceveva misteriose telefonate che la gettavano in uno stato di profondo sconforto, sfociando in pianti frequenti e inspiegabili.

A destare ulteriori sospetti fu la gestione dell’inchiesta. Nessuno dei residenti della zona militare – dove abitano diverse famiglie della Marina e dove fu ritrovato il corpo di Manuela – era mai stato interrogato. Le autorità non avevano mai messo a disposizione della famiglia i tabulati telefonici. E se inizialmente l’ipotesi investigativa era di omicidio, ben presto si archiviò tutto come suicidio.

L’istanza presentata nel 2024 e il ritrovamento degli abiti di Manuela

Nonostante un’istanza di riapertura respinta dalla procura di Cagliari nel 2024, i legali della famiglia Murgia, gli avvocati Giulia Lai e Bachisio Mele, non si sono arresi e hanno presentato una nuova richiesta corredata da una dettagliata consulenza del medico legale Roberto Demontis.

Proprio le conclusioni del dottor Demontis aprono scenari inediti e potenzialmente decisivi. Secondo la consulenza di Demontis, le lesioni sul corpo di Manuela sarebbero “compatibili con un incidente stradale” e non con una caduta o un suicidio. L’ipotesi più inquietante, come spiega l’avvocata Lai, è che “probabilmente qualcuno abbia prima violentato Manuela, poi abbia occultato il cadavere”, suggerendo che l’autore possa aver trascinato il corpo della 16enne nel dirupo dove fu poi ritrovato.

Il luogo del ritrovamento del corpo

La riapertura del caso

A quasi trent’anni dalla misteriosa morte di Manuela Murgia, la procura di Cagliari ha riaperto le indagini. A convincere i magistrati è stata proprio la consulenza tecnica del medico legale Demontis, incaricato dai familiari della ragazza.

Non si è trattato né di un suicidio né di una caduta accidentale”, ha dichiarato all’ANSA l’avvocata Giulia Lai, legale delle sorelle Anna ed Elisabetta Murgia. La nuova istanza, presentata a gennaio 2025 dagli avvocati Lai e Bachisio Mele, con allegata la perizia Demontis, ha finalmente convinto la magistratura a riaprire il fascicolo.

Le indagini ipotizzano il reato di omicidio volontario. La Scientifica effettuerà a breve un nuovo sopralluogo nell’area di Tuvixeddu, dove venne ritrovato il corpo di Manuela. Ad aggiungere un ulteriore tassello alla ricerca della verità è il ritrovamento – lo scorso mese di aprile – degli abiti indossati da Manuela Murgia il giorno della scomparsa. Gli indumenti saranno ora analizzati con le più avanzate tecnologie disponibili per isolare eventuali tracce biologiche residue. Si utilizzeranno strumenti di ultima generazione, già decisivi in passato per la riapertura e la risoluzione di numerosi cold case, anche a distanza di molti anni dai fatti, per l’esaltazione del DNA.

La speranza della famiglia di Manuela Murgia è che questa volta emerga finalmente la verità, rimasta celata per troppo tempo.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa