Nel Belpaese 2,4 milioni di madri single affrontano la povertà estrema. Asili nido insufficienti e un welfare frammentato aggravano la situazione. Urge trovare soluzioni concrete.
Madri e single, sinonimi di estrema povertà! Essere madri e single, oggi, nel nostro Paese, sono due condizioni per trovarsi in povertà assoluta. E’ una situazione che riguarda 2,4 milioni di donne, che si trovano sole ad affrontare la gestione del tempo, delle risorse economiche e del lavoro, spesso precario. Possono usufruire (si fa per dire) di bonus, che si rivelano, tuttavia, insufficienti a riparare i danni strutturali dell’assistenza all’infanzia e del mercato del lavoro, in cui il gender gap è ancora marcato.
Secondo l’ISTAT, in Italia delle 2,4 milioni di donne single con figli a carico, pari all’82% delle famiglie formate da un solo genitore, l’11,5% è in condizioni estreme di povertà. A questi dati, già di per sé terrificanti, si aggiunge che il 42% delle madri sole sono inattive o disoccupate e, quando riescono a trovare un impiego, i salari sono da fame. E non ci si può stupire, se molte non riescono a pagare le bollette, l’affitto o il mutuo. Gli interventi legislativi al riguardo hanno agito da tampone, ma il problema è che il nostro welfare è molto frammentato e la legislazione manca, spesso, di una visione complessiva del fenomeno.
L’assistenza all’infanzia pesa quasi sempre sulle spalle delle madri sole e single. Secondo “OneParent”, la prima community di genitori single in Italia, le tariffe degli asili nido sono sempre più alte, sia nel privato sia nel pubblico, con un aumento delle tasse scolastiche dell’8,8 per cento in media rispetto a soli due anni fa. La legge di Bilancio 2025 prevederà un potenziamento del bonus nido, escludendo l’assegno unico universale dal calcolo dell’Isee, rendendo idonee più famiglie. Il problema, però, è che in Italia non ci sono posti nelle strutture. Le disponibilità medie negli asili nido (il 30 per cento per il totale dei bambini in età, secondo gli ultimi dati) non rispetta infatti gli standard europei, che prevederebbero una copertura minima del 33 per cento, ed è sotto di circa otto punti percentuali rispetto alla media Ue (37,9 per cento). Alcune regioni, come Sicilia e Campania, non arrivano neanche al 15 per cento”. Inoltre, esiste una distribuzione territoriale disomogenea i cui effetti più pesanti colpiscono madri sole e single che vivono in aree interne non urbane, le migranti e quelle con disabilità.
Nei piani originari del PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) erano previsti 250 mila nuovi posti nei nidi. In questo modo si pensava di attenuare il divario Nord e Sud, ma ci si è fermati a 150 mila. Queste scelte pesano sul bilancio finanziario e sull’aspetto psicosociale delle famiglie lasciate senza protezione. Se ad un bambino viene negata la possibilità di interagire con altri suoi simili e con educatori competenti, perché la madre non ha i soldi per pagare il nido, si creano sacche di deprivazione materiale e di esclusione sociale che influiscono anche sulle madri. I bambini, soprattutto, porteranno con loro gli effetti negativi fino all’età matura, con tutte le problematiche, studiate e raccontate dalla psicologia, costituite da ansia, panico e depressione. Un fenomeno confermato dalla crescita del consumo di farmaci psicoattivi. Non si può andare avanti, ogni anno, con interventi tampone, come possono essere i bonus sui figli a carico o l’estensione del congedo parentale, previsto peraltro solo per i lavoratori dipendenti, perché il problema si ripresenterà sempre. E’ urgente un intervento capillare e su tutto il territorio nazionale basato sulla difesa delle fasce sociali più deboli e sulla diffusione di asili nidi, in modo da poter offrire alle madri sole e single un aiuto concreto!