Lodi Vecchio ritrova i suoi spettacolari tesori longobardi

Inaugurate al Museo Laus Pompeia le teche che presentano al pubblico i preziosi reperti ritrovati nelle tombe di Corte Bassa, individuate durante gli scavi del 2010.

Lodi Vecchio – I tesori di età longobarda tornano a Lodi Vecchio. E lo fanno in grande stile, conquistando le centinaia di persone e le tante autorità che ieri pomeriggio sono accorse al Museo Laus Pompeia per l’inaugurazione delle due nuove teche che presentano i preziosi reperti riemersi nel cuore pulsante della cittadina lombarda.

Un momento della presentazione (foto: Elena Percivaldi)

Era il 2010 quando le tre tombe – una monumentale e due infantili – tornarono alla luce nel complesso rurale di Corte Bassa, nell’area archeologica occupata dal foro romano e dai resti della Cattedrale di Santa Maria, l’antica cattedrale cittadina sorta nel IV secolo, più volte rimaneggiata e infine distrutta dopo l’abbandono a seguito delle soppressioni napoleoniche (gli ultimi resti vennero demoliti nel 1879).

Si tratta di tre sepolture dotate di ricchi corredi, per un totale di una settantina di oggetti di grande qualità artistica e di eccezionale prestigio databili al VI secolo, corrispondente alle prime fasi di occupazione del territorio da parte dei Longobardi, da poco immigrati in Italia dalla Pannonia.

Due dei pendenti ritrovati nelle tombe di Lodi Vecchio

Al centro di una grande teca è stata ricostruita la Tomba 6, appartenente a una donna morta all’età di circa 35 anni e di tipo monumentale. La defunta era infatti stata deposta all’interno di una cassa lignea, rinchiusa a sua volta in una struttura a cassa in mattoni. Quando fu sepolta, la dama indossava un ricco abito decorato con broccati d’oro, di cui restano i preziosi fili aurei. Portava anche splendidi monili: una collana formata da nove pendenti dorati e decorati a cloisonné con inserti di granati, montati in modo alternato con piccole sfere auree, e una seconda collana con coloratissime perle in pasta vitrea. Le cingeva la vita una cintura alla quale erano fissate un paio di cesoie e una borsa contenente un gruzzolo di granati; in testa indossava un velo fissato con un bell’ago crinale in argento. La caratteristica forse più “vistosa” della sepoltura era però rappresentata dalla coppia di corni potori in vetro blu, utilizzati per sorbire bevande rituali durante il banchetto funebre.

La Tomba 6 con il suo ricco corredo tra cui i due spettacolari corni potori blu (foto: Elena Percivaldi)
I due corni potori (foto: Elena Percivaldi)

La monumentalità della sepoltura e la qualità degli oggetti di corredo rimarcano l’alto status sociale della defunta, ulteriormente esaltato dalla presenza di moneta aurea – un solido, per la precisione – coniata dall’imperatore d’Oriente Zenone (476-491). Risalente a un’epoca precedente rispetto a quello della sepoltura, rappresentava verosimilmente un oggetto prezioso tesaurizzato dalla famiglia della donna e deposto nella sua tomba come dono funebre di grande prestigio, secondo un’abitudine che si riscontra in altre sepolture longobarde di fine VI-inizio VII secolo.

Le altre due tombe musealizzate, entrambe di fine VI secolo, appartenevano invece a due individui infantili. Si tratta di corredi composti da elementi di prestigio quali vasellame in vetro (una bottiglia e due bicchieri a calice) e, anche in questo caso, monili preziosi.

Uno dei calici di vetro delle tombe infantili (foto: Elena Percivaldi)

In una delle due tombe (Tomba 56) era stata deposta una bellissima croce pettorale in oro. Nell’altra (Tomba 63), appartenente a una bambina, la defunta era stata sepolta abbigliata con il costume tradizionale longobardo, di cui restano l’ago crinale in argento e diverse fibule: una a S a forma di rapace, due del tipo “a staffa” – una delle quali con catenelle per l’aggancio di ulteriori oggetti – e una a forma di rosetta. La bimba indossava anche una collana in perle di vetro colorate e un bracciale, anch’esso in vaghi vitrei. Tutti elementi, anche questi, che confermano l’alto rango degli individui inumati.

A presentare i ricchi reperti e a “restituirli” alla collettività sono stati il soprintendente Gabriele Barucca, il funzionario archeologo competente per il territorio, Simone Sestito, e la funzionaria archeologa Stefania Iorio, direttrice dello scavo all’epoca del ritrovamento dei reperti. Con loro a inaugurare ufficialmente le teche anche Gianluca Mete, conservatore dal 2017 del Museo Laus Pompeia e anch’egli tra gli artefici del ritrovamento.

“Sui reperti ci sono ancora diversi aspetti da approfondire, legati ai corredi e a ogni singolo oggetto”, spiega Mete. “Il nostro museo, l’unico di tipo archeologico del Lodigiano, è un museo vivo e in questi anni ha implementato aperture costanti e arricchito la collezione. Ma questo è solo l’inizio”, promette l’archeologo. La presentazione al pubblico dei reperti longobardi delle tombe di Corte Bassa rappresenta quindi l’avvio di un percorso di studio, valorizzazione e divulgazione che terrà impegnato il Museo per i prossimi anni. Anche perché grazie ai fondi pubblici – 1,1 milioni di euro – assegnati nell’ambito dei Grandi Progetti Beni Culturali, sarà realizzato, proprio nell’area degli scavi di Santa Maria e del Museo, un nuovo grande Parco Archeologico.

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