L’Italia travolta dal default autunnale?

La pubblica amministrazione, con molta probabilità, non riuscirà a coprire le spese per il Superbonus 110%. Edilizia e commercio rischiano grosso pur essendo creditori. Ma in tutti i comparti è la crisi a farla da padrona. Rischio di un vero e proprio tsunami per le imprese.

Roma – Nubi minacciose sulle imprese italiane, le grane stavolta sono la Pubblica amministrazione e il Superbonus. Ormai conosciamo a menadito l’elenco degli effetti devastanti che ha avuto il Covid-19 sulla vita delle persone, sul sistema sanitario e sull’economia. Malgrado ciò il numero dei fallimenti di imprese negli ultimi due anni, pare che non sia stato molto elevato. Però si corre un rischio molto alto nel prossimo autunno che si preannuncia, da questo punto di vista, estremamente caldo. E non per la calura di questa estate che si estenderà ai prossimi mesi. I sentori di questa dolorosa previsione sono ascrivibili al caro energia, all’aumento dell’inflazione e al quadro economico sempre più scricchiolante.

La goccia che potrà fare traboccare il vaso è l’incedibilità dei crediti acquisiti con il Superbonus 110%, pari a circa 4 miliardi di euro e i ritardi dei pagamenti della Pubblica amministrazione verso i propri fornitori. Questi ultimi, a parere dell’Eurostat (Ufficio Statistico dell’Unione Europea), ammonterebbero ad almeno 55,6 miliardi di euro, senza i quali molte imprese commerciali e di servizi corrono il rischio di dichiarare fallimento. Con un paradosso tutto italiano, ovvero molte attività chiuderanno i battenti non perché incapaci di saldare i propri debiti, ma per l’inesigibilità dei propri crediti, a causa di inadempienze della nostra amministrazione centrale.

Lo Stato italiano ancora una volta predica bene, ma razzola male. Quando c’è da ricevere denaro con tasse, tributi e quant’altro pretende puntualità e adempienza, condannando i ritardi. Quando deve pagare, lo fa a babbo morto, se va bene. Secondo l’ufficio Studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre sta per arrivare un vero e proprio tsunami. Negli ultimi dieci anni il numero più alto di chiusure si è avuto nel 2014/2015 dopo la crisi del debito sovrano.

Poiché gli effetti delle recessioni si manifestano in seguito, è prevedibile che dopo la pandemia e la guerra in Ucraina, dal prossimo autunno i fallimenti potrebbero crescere, per impennarsi nel 2023. Il Superbonus 110%, presentato come una panacea per le famiglie e imprese italiane, è l’agevolazione fiscale con cui si detrae il110% delle spese sostenute per la realizzazione di specifici interventi. Questi ultimi possono essere finalizzati all’efficienza energetica e alla riduzione del rischio sismico degli edifici. Ora, come succede spesso in Italia, la farraginosità delle norme applicative sta ostacolando l’iter. Gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari) in pratica non stanno acquistando crediti.

Di conseguenza le imprese del comparto casa non possono fare più sconti in fattura. Inoltre, con i crediti fiscali già acquistati e non cedibili, molte attività sono in crisi di liquidità. Ma la ciliegina sulla torta (si fa per dire) sono i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione ai fornitori, che ammontano ad una percentuale pari al 3,1% del Pil nazionale. Un’altra stella al merito: nessun altro paese dell’Unione Europa subisce un impatto così elevato. I settori che rischiano di subire la mannaia del fallimento sono, soprattutto, il commercio e l’edilizia. Certo che siamo proprio uno strano Paese.

Rapporto difficile quello tra Amministrazione e Superbonus, in più tra evasione ed elusione fiscale, economia sommersa, scandali bancari e finanziari, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Sia il settore pubblico che quello privato mostrano le loro pecche: è come passare dalla padella alla brace. Da qualunque parte ci si volta, volano ceffoni nel migliore dei casi e coercizioni nel peggiore. La vittima designata è sempre la stessa, il povero cittadino inerme!

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