Da una parte l’innovazione tecnologica, dall’altra Paesi che pur in presenza di attacchi subiti, preferiscono non diffondere notizie.
Roma – L’Italia è la vittima preferita degli “hackers”. Il nostro Paese è risultato come il più esposto ad attacchi informatici. Sembra che gli “hackers” violano, con una facilità impressionante, la sicurezza informatica, che tanto… sicura non sembra essere, visti i risultati. Il quadro drammatico è emerso dal rapporto “Clusit”, l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, in cui in Italia gli attacchi informatici sono cresciuti del 65%. I dati diffusi dagli esperti hanno segnalato che lo stesso attacco subito da un paese straniero, produce più danni in Italia. Gli autori hanno mostrato poco stupore, in quanto siamo un Paese che produce poca tecnologia e siamo agli ultimi posti per le competenze digitali.
Né ci consola che la situazione è complicata pure in altre nazioni, non solo in Italia. Ed in un momento storico in cui si parla tanto di Intelligenza Artificiale (IA), il problema della sicurezza informatica diventa ancora più rilevante. Anche perché ci sono ancora Paesi che pur in presenza di attacchi subiti, preferiscono non diffondere notizie al riguardo. Questo succede più nella vecchia Europa che negli USA. Il settore più… suadente in Italia per gli attacchi informatici è quello governativo/militare. Subito dopo, quello manifatturiero. La capacità di difesa, finora, si è dimostrata molto bassa, sia per quanto riguarda il settore pubblico che quello imprenditoriale.
Anche perché gli “hackers” utilizzano tecnologia di ultima generazione, grazie alle risorse economiche di cui dispongono. Si avvalgono anche dell’IA proprio con l’intento di trovare punti deboli e questa tendenza è in rapida ascesa. Gli attacchi cibernetici hanno diversi obiettivi: cybercrime, qui lo scopo è il denaro; attivismo informatico; spionaggio; guerra dell’informazione, attuata durante conflitti bellici. A destare preoccupazione sono gli attacchi alla sanita in forte crescita. Inoltre, il settore governativo, finanza e assicurazioni. Una volta gli “hackers” utilizzavano il “malware”, ovvero un qualsiasi programma informatico usato per disturbare le operazioni svolte da un utente di un computer.
Oggi uno strumento del genere fa quasi ridere, visto lo sviluppo che tecnologica ha avuto. Infatti, viene utilizzato il cosiddetto attacco DDoS (Distributed Denial of Service. Si ratta di un tentativo ostile di bloccare il normale traffico di un server, servizio o rete sopraffacendo la vittima o l’infrastruttura circostante inondandola di traffico Internet. Questi attacchi hanno rappresentato il 36% di tutti gli incidenti provocati nel 2023, con forte aumento rispetto ai dati globali. L’incremento è frutto delle campagne dimostrative, pratiche derivanti dall’azione diretta digitale in stile hacker, solitamente ricorrendo all’uso della pirateria informatica. In questo contesto, attraverso il DDoS lo scopo è rendere inoperosi i siti delle organizzazioni.
Per le richieste di riscatto, continua ad essere utilizzata la tecnica del “ransomware”, un programma informatico dannoso (“malevolo”) che può “infettare” un dispositivo digitale (PC, tablet, smartphone, smart TV), bloccando l’accesso a tutti o ad alcuni dei suoi contenuti (foto, video, file, ecc.) per poi chiedere un riscatto (in inglese, “ransom”) da pagare per “liberarli”. Nel mondo, l’anno scorso, questo metodo di attacco ha raggiunto il 36% degli attacchi mondiali. Comunque la si pensa al riguardo, un dato è incontrovertibile: la situazione italiana è drammatica, se non si corre ai ripari il futuro è fosco! Ma valeva davvero la pena una rivoluzione tecnologica del genere, se ti devi sentire attaccato da tutte le parti e bisogna spendere un sacco di soldi per difendersi?