LA GRANDE INDUSTRIA RISOLVE I PROPRI PROBLEMI MENTRE CRESCONO QUELLI DI MILIONI DI ITALIANI SENZA REDDITO. LA POLITICA E’ DIVENTATA OPERETTA COME NON MAI. MA I PROBLEMI, QUELLI QUOTIDIANI, RIMANGONO IRRISOLTI.
Il duello Calenda-Renzi non è soltanto uno scontro sull’imminente politica economica del Paese ma rappresenta qualcosa di più, ovvero il corso che l’Italia del futuro imboccherà dopo la fine dell’emergenza Covid-19. Da un lato c’è la Fiat Chrysler Automobiles (FCA), che ha avanzato la richiesta di un prestito da 6,3 miliardi d’euro, dall’altra ci sono migliaia di ambulanti, piccoli esercenti, precari e disoccupati, che in queste ore stanno affollando le piazze italiane chiedendo maggiore rispetto da parte delle istituzioni. È questa la fotografia dell’Italia di oggi appena riaperta alla libertà vigilata:
“…Siamo a casa da tre mesi, ci stanno abbandonando…”, “…Lo Stato ci deve sostenere. Non siamo invisibili, abbiamo diritto al lavoro…”, “Se non moriremo di Covid, moriremo di fame…”. Lacrime, sudore e tanta rabbia. Ma anche tanto malumore manifestato dai numerosissimi lavoratori-disoccupati davanti agli uffici regionali e statali nel giorno della parziale ripresa del lavoro. I soldi ci sono ma sono limitati. Sarà impossibile accontentare tutti, il governo dovrà compiere scelte precise e in base ad esse capiremo quali sono i veri interessi dell’esecutivo.
La FCA (in quota parte la vecchia Fiat), ha dichiarato che esistono già trattative per un prestito di sostegno e che al momento il principale interlocutore è la banca Intesa Sanpaolo. Logicamente l’intento della dirigenza automobilistica è quello di usufruire il più possibile della situazione emergenziale per utilizzare le garanzie statali messe in campo per la ripartenza. Infatti, tramite il decreto Liquidità promulgato dal governo Conte sono stati stanziati 750 miliardi per questo tipo d’intervento, gestiti da SACE, nota società che si occupa della cassa Depositi e Prestiti. Inoltre il decreto in questione prevede un iter bancario a condizioni agevolate. Sostanzialmente implica il fatto che qualora le società non fossero in grado di restituire il prestito, richiesto esclusivamente per coprire i costi fissi, l’importo verrebbe coperto dallo Stato. FCA è ben consapevole di questo “cavillo” ed ha chiesto la sovvenzione per pagare esclusivamente le attività italiane del Gruppo FCA a sostegno della filiera italiana.
E allora perché davanti a una richiesta così disinteressata sono piovute critiche malevole? Le ragioni sono molteplici ma forse quella principale risiede nel fatto che quando la Fiat aveva iniziato a delocalizzare i propri stabilimenti produttivi nell’Est Europa, lasciando in cassa integrazione migliaia d’operai italiani, non si è posta assolutamente problemi etici. Del resto la scelta di trasportare la sede legale nei Paesi Bassi e la sede fiscale nel Regno Unito, per motivi prettamente legati a vantaggi tributari e amministrativi, ancora oggi pesa e molto sull’economia nazionale. FCA, comunque stiano le cose, ha giocato il suo jolly e ha sottolineato che l’intero ammontare del prestito andrebbe a garantire il salario dei circa 55.000 mila lavoratori italiani distribuiti tra i 16 stabilimenti e i 26 centri di ricerca. Ma davvero la ex Fiat dopo più di un secolo d’attività è andata in crisi per due mesi di blocco produttivo? Davvero la società automobilistica utilizzerà i soldi pubblici nel suo indotto principale? Evidentemente non siamo tutti sulla stessa barca in questa fase della ripartenza.
Logicamente la questione si è trasformata subito in palcoscenico ideale per le provocazioni dei partiti politici. Il primo ad esprimersi è stato il vicesegretario del partito Democratico Andrea Orlando: “…Un’impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano deve riportare la sede in Italia…”. Al dem ha fatto da eco Nicola Fratoianni, portavoce della Sinistra Italiana e Carlo Calenda.
Tra i pochi politici che si sono schierati in difesa di FCA non poteva mancare Matteo Renzi che con il trascorrere del tempo assomiglia sempre più al portavoce di Confindustria che a un leader politico. Tramite Twitter, l’ex premier, ha ripreso pubblicamente le parti del colosso dell’auto, senza se e senza ma: “…Bene FiatChrysler che chiede un prestito alle banche da 6 miliardi per tenere aperte le fabbriche in Italia. Sbagliato evocare “poteri forti” e “interessi dei padroni”. È un prestito che serve a investire in Italia: che male c’è? Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto…”. D’altronde che cosa potevamo aspettarci da chi ha tentato di trasformare la scuola in uno squinternato comparto aziendale obbligando gli studenti a compiere 200 ore lavorative senza nemmeno potenziare il personale amministrativo?
Prontamente è arrivata la risposta di Calenda (già ministro dello Sviluppo Economico sotto il governo Renzi) il quale ha risposto punto per punto al messaggio del suo ex presidente del Consiglio. Tramite la medesima piattaforma l’europarlamentare ha illustrato i suoi 8 punti, descrivendo la maggioranza come un gruppo di “appecoronati” alle multinazionali:
“…1) FCA non ha mai rispettato il piano degli investimenti previsto per l’Italia; 2) avrebbe la liquidità per sostenere il gruppo ma la tiene nella capogruppo per distribuire un maxi dividendo pre-fusione PSA; 3) quel maxi dividendo non verrà tassato; 4) nessuna casa automobilistica UE tranne Nissan/Renault ha sede fuori dal proprio paese; 5) il programma Sace ha rilasciato 6 garanzie per 40 milioni. Ci sono migliaia di imprese con sede in Italia che aspettano 6) non serve a finanziare i fornitori ma a pagargli il dovuto; 7) siete talmente appecoronati ai grandi gruppi che non riuscite neanche a fare un negoziato come Dio comanda, 8) Repubblica che fino a ieri sosteneva la linea Landini vs Fiat (sbagliata) da quando è stata comprata da Elkann dipinge FCA come una onlus…”.
L’Italia oggi è questa. Da una parte la popolazione, intimorita rispetto al proprio futuro, priva di certezze e schiacciata dai debiti e senza accesso in banca, nonostante le promesse di Conte. Dall’altra una minoranza economicamente forte, che siede al tavolo con le grandi realtà bancarie per stipulare prestiti finalizzati ad ammortizzare le perdite. Con le garanzie dello Stato. Da che parte siederà il governo? Ormai la decisione non è più procrastinabile.