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L’Intelligenza Artificiale entra in redazione: sarà davvero una risorsa utile e sostenibile?

L’AI potrebbe “sganciare” i giornalisti dalla “sbobba” a tutto vantaggio della creatività. Ma non mancano le voci critiche.

Roma – L’irruzione dell’Intelligenza Artificiale (AI) sta sconvolgendo il mondo del lavoro. Alla sua influenza non poteva restare immune il settore dei media. Un recente rapporto a cura della “London School of Economic and Political Science (LSE)” –prestigiosa scuola pubblica specializzata nelle scienze sociali di Londra- ha evidenziato che il 73% delle testate intervistate ritiene che l’IA offra nuove opportunità professionali per il giornalismo. La ricerca ha riguardato oltre 100 testate di 46 Paesi. La stragrande maggioranza sta già sperimentando l’IA, ad esempio nella scrittura di codice (una parte dell’intera fase di sviluppo del software), nel creare nuove immagini e la stesura di abstract. I più entusiasti ritengono che l’IA può liberare risorse intellettuali per lavori più originali perché non si deve più impiegare il tempo, ad esempio, nella trascrizione dell’interviste e nel “fact-checking” (verifica dei fatti).

I “chatbot” rappresentano software che simulano conversazioni umane

Secondo gli intervistati l’IA giocherà un ruolo fondamentale nei seguenti ambiti: analisi della disinformazione con la verifica delle fonti; automazione dei contenuti; sintesi e produzione di testi; utilizzo di “chatbot” per fare interviste preliminari e valutare l’opinione del pubblico su determinate questioni. Per “chatbot” s’intende un software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. L’IA consente l’utilizzo di molteplici quantità di dati e di rendere paritario il rapporto tra alte competenze e scarsezza di dati.

Sembra che la tecnologia GenAI, ovvero l’IA generativa in grado di generare testo, immagini, video, musica o altri media in risposta a delle richieste, sia facilmente accessibile, non richiede significative competenze tecniche. Inoltre, è dotata della qualità di comprendere il contesto, a differenza di altre tecnologie, che, al contrario, prevedono una alta competenza. Tuttavia, dalle interviste è emerso anche la necessità che ogni contenuto prodotto dall’IA possa essere controllato da un essere umano. Soprattutto –come si legge nel report- quando si tratta di pregiudizi e fact-checking. Dopo aver espresso le magnifiche virtù salvifiche dell’IA, sono emerso i timori etici sul suo uso nello svolgimento del lavoro giornalistico.

L’IA tra ideali e disuguaglianze

Un’attività basata su accuratezza, equità e trasparenza. Almeno in teoria. Un altro aspetto interessante emerso dalla ricerca è che mentre il nord del mondo è alle prese con l’adattamento all’IA, il sud, in quanto più povero dal punto di vista sociale, viene escluso dai vantaggi di queste nuove tecnologie. Questo perché le infrastrutture siano più efficienti al nord e l’accesso alle risorse più semplice. C’è da segnalare che nel sud del mondo molti Paesi sono alle prese con gli effetti sociali, culturali ed economici del colonialismo dopo l’indipendenza.

Qui, in molte zone l’IA non sanno nemmeno cosa sia. Come si legge nel rapporto:

“Sappiamo che si tratta di un’arma a doppio taglio, ma ciò che è emerso più chiaramente è la disparità globale dell’IA. Attualmente, i benefici economici e sociali dell’IA sono concentrati nel Nord del mondo, mentre i suoi danni colpiscono in modo sproporzionato il Sud del mondo (tramite i pregiudizi algoritmici), esacerbando la disuguaglianza globale. Se vogliamo davvero trarre beneficio dall’IA in modo equo, è indispensabile adottare un inquadramento dello sviluppo e dell’adozione dell’IA a livello globale che sia consapevole del potere, spesso assente nelle discussioni sull’IA”. Se sono rose fioriranno, però se sono spine pungeranno e potrebbero fare male, molto male.

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