Qualsiasi erogazione di fondi europei equivale a prestiti con interessi troppo alti. E gli stessi meccanismi di investimento potrebbero non essere all’altezza della grave situazione economica. Ce ne potremmo accorgere quando sarebbe troppo tardi. Un guaio dopo l’altro.
Il discorso sul Mes appare tutt’altro che concluso. Il Meccanismo europeo di stabilità sta spaccando l’Italia politica in due, rischiando di compromettere seriamente anche l’unità governativa. Conte, nei giorni scorsi, ha continuato a sottolineare come la gravità della crisi economica sia talmente profonda che tale strumento risulterebbe inefficace se non fosse accompagnato da altre misure finanziarie. Il Pd, con Gentiloni in testa, ha acclamato pubblicamente la linea di credito, parlando addirittura di una grande vittoria per l’Italia. La verità è che per testare l’efficacia o meno di tale strumento ci vorranno settimane, forse mesi. Dall’altra parte, però, potrebbe essere una scommessa troppo pericolosa. Nel caso in cui il Mes si scoprisse inadatto, o addirittura controproducente, ce ne renderemmo conto probabilmente troppo tardi.
Insomma si o no al Mes? Per comprendere meglio i meccanismi dello strumento finanziario europeo, e quelli che potrebbero essere i suoi rischi, ci siamo rivolti all’economista Christian Marazzi, già docente presso l’Università di Padova, alla State University di New York e presso l’Università di Losanna e di Ginevra:
“…L’incognita principale su questo tipo di Mes – dichiara Marazzi – verte sulle eventuali condizionalità future. È chiaro che in quanto prestito non sembra rispondere a quelle che sono le esigenze, gli investimenti e gli interventi che in Italia, così come in qualsiasi altro Stato dell’eurozona, dovranno essere attuati per uscire da questa crisi pandemica. Partiamo dal fatto che Mes, Bei, Sure e Recovery Fund, sono tutte misure d’indebitamento, che in qualche maniera dovranno successivamente essere estinte. Sostanzialmente l’UE ha seguito i consigli di Mario Draghi, facendo leva sul debito e non considerando la spesa, quasi come se fossimo in un contesto bellico. Il rischio di dover affrontare una depressione economia devastante è molto alto e non si capisce perché Bruxelles non abbia ancora introdotto misure sociali per arginare la disoccupazione e salvaguardare il lavoro. Tale mancanza comporterà la necessità di effettuare dei tagli nel momento in cui bisognerà estinguere o ridurre il debito, secondo la stessa logica che ha portato alla crisi finanziaria del 2008, e che successivamente ha caratterizzato il periodo seguente. Il debito in questi termini verrà utilizzato come veicolo di disciplinamento della spesa pubblica, provocando drastiche conseguenze nel campo salariale e assistenziale dello Stato. Secondo i burocrati di Bruxelles una volta passata la regressione economica il mercato andrà incontro all’effetto trickle-down, ovvero un’autoregolazione finanziaria che porterà l’occupazione e i consumi a cresce nuovamente fino al livello pre-crisi. Questo però non è vero. Stiamo attraversando una fase distruttiva sia sotto il profilo dell’offerta, causata dal lockdown, sia della domanda, dovuta all’aumento della disoccupazione e alla riduzione del salario. La ripresa ipotizzata da Bruxelles non ha nessuna certezza di ritrovare un adeguato punto d’equilibrio tra domanda e offerta di valenza generale. Pensiamo ai beni e ai servizi, lo Stato cercherà di razionalizzare il più possibile gli investimenti per ridurre al minimo i costi, il tutto a fronte di una domanda fortemente ridotta.
Inoltre, stiamo già vedendo l’introduzione misure di automatizzazione e digitalizzazione, che impediranno al mercato di riassorbire chi si trova in una situazione di precarietà occupazionale. Sul fronte della domanda la situazione non è differente: la conseguenza diretta della crescente incertezza lavorativa porterà una riduzione dei consumi, innescando così un problema di deflazione che appesantirà ancor di più l’ammontare del debito pubblico. Anche se formalmente l’UE ha presentato il Mes come una misura priva di condizioni, in realtà sono enormi e peseranno come un macigno. Tasso vantaggioso o meno che sia, quella offerta dall’Europa è una linea di credito e prima o poi Bruxelles suonerà il campanello per riscuotere quanto dovuto. Andremo incontro a una forte aggressività imprenditoriale che avrà il solo obiettivo di riacquistare le quote di mercato perse, provocando delle forti pressioni sui salari con l’obiettivo di ridurre i costi. Non è escluso che tale situazione possa sfociare in forti conflitti sociali ed economici nel prossimo futuro…”.
Un piano, quello messo in atto da Bruxelles, che mirerebbe alla salvaguardia della grande economia a discapito dei lavoratori e dei piccoli artigiani. E allora come evitare di finire nel vortice della deflazione che porterebbe a contrarre un ulteriore indebitamento e a dimezzare i consumi della popolazione?:
“…C’è qualcosa di buono in questa crisi – aggiunge Marazzi – abbiamo potuto costatare con i nostri occhi come insista la necessità di instaurare un nuovo contratto sociale. Senza i consumi, quindi senza lavoro o un reddito universale, l’economia collasserebbe su sé stessa. Ci sarebbe bisogno di un nuovo New Deal in stile rooseveltiano che permetterebbe di rilanciare una rinnovata concezione statale, capace di ridurre quella conflittualità sociale interna e che progressivamente va delineandosi all’orizzonte. Insomma, un maggior interventismo centrale, che possa preservare il lavoro e garantire il benessere alla popolazione, salvaguardando così i consumi…”.