L’etichetta e l’opportunismo nel mondo relazionale e politico

Quando l’eleganza si confonde con l’inganno e la vendetta, il prezzo è pagato dalla reputazione e dalla privacy delle persone. La politica che non cambia se non in peggio.

Roma – Quando si afferma che “la classe non è acqua” si fa riferimento ad uno stile di vita elegante che viene adottato nel parlare, scrivere e in genere nel comportamento. Purtroppo non sempre possono definirisi cosi certi atteggiamenti raffinati, pur mascherati da mitezza e professionalità. In politica, nel lavoro, in famiglia, come in qualunque ambito relazionale. Questo perché si cerca sempre di andare “sopra le righe” per fare notizia e soddisfare il proprio narcisismo, senza preoccuparsi delle conseguenze nefaste che subiscono coloro i quali sono il bersaglio di tali azioni riprovevoli.

E non tanto perché ci sono i cosiddetti intoccabili a cui tutto è permesso, piuttosto perché utilizzare metodi indiretti per colpire la credibilità di una persona è divenuto uno “sport nazionale”. Innumerevoli i precedenti illustri, che hanno fatto notizia e di cui i mass media si sono occupati anche per anni. Altrettante le storie di persone meno note, ma alle quali è stata ugualmente distrutta una vita sul piano, sia della credibilità, che della propria privacy. Il percepito, d’altronde, è sempre ciò che rimane e su questo si inserisce la partita a scacchi del “demolition man” di turno.

Molto spesso, purtroppo, si mescola la professionalità con l’intrigo. Il tutto condito da perversione ed a volte ossessione. In politica, per esempio, stimola più pruriti la vita anteatta del bersaglio di turno e della propria famiglia, che l’attività parlamentare. Gli attacchi, così, diventano concentrici e si ha l’interesse ad estenderli sempre più fino al paradosso. L’unico sensore che orienta la “faida” sono gli ascolti, le vendite ed il tornaconto personale e di struttura. Insomma, il prevalere dell’immagine, di colui o coloro che effettuano la “crociata” anti-persona di turno. Meglio ancora se è nota ed ha consenso popolare.

Poi se a tutto questo aggiungiamo la contrapposizione politica e l’identificazione tra il fustigatore seriale nonché difensore di valori partitici in decrescita sociale, allora lo schema è perfetto. Il gioco è riuscito. Il fatto che l’interessato, dopo, neghi ogni interesse di bottega è superfluo, non tanto perché è scontato il ritrarsi da simili pregiudizi, ma per un “cursus honorum” maturato negli anni. D’altronde cosa c’è di più gustoso di cercare di delegittimare l’avversario, là dove gli avversari politici non osano muoversi direttamente. Il mandante, a volte, è sempre dietro l’angolo opposto.

Appositamente, in questa sede, non si citano gli autorevoli precedenti per non cadere nello stesso “trappolone” che si critica. Però, non si può fare a meno di ricordare le tantissime volte che professionalità di area, di sinistra e di destra come di centro, hanno dovuto ricredersi e pagare costosi risarcimenti, per un danno non solo di immagine ma, soprattutto, per l’inattendibilità di quanto dichiarato. Allora non sarebbe meglio, invece di imbastire le solite“soap opera”, interessarsi della quotidianità e fungere da stimolo affinché le cose vadano incanalate per il verso giusto? Non si può, in ogni caso, prescindere dell’immagine che si dà del Paese all’estero, molte volte in momenti cruciali di carattere internazionale.

In questi termini indignarsi perché un ministro francese entra a gamba tesa nelle dinamiche interne dell’Italia e del suo governo, non serve a nulla, se contemporaneamente siamo noi stessi che ne demoliamo la credibilità e l’autorevolezza. Le battaglie sociali, la libertà di opinione e di stampa, così come la satira hanno non solo il diritto ma, soprattutto, il dovere di prendere per le orecchie il potente di turno, ovvero di esprimersi e criticare, purché tutto abbia un senso ed un obiettivo nobile e di crescita sociale che privilegi il bene comune e non la sfera privata. Ma tant’è.

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