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L’emergenza denatalità: ma a preoccupare gli esperti è il mutamento demografico

La gran parte dei Paesi sono vittime di due condizioni, invecchiano e non fanno figli. E questo riguarda tutto il mondo.

Roma – Cosa fanno i governi per contrastare la denatalità? La denatalità, altrimenti detta “deserto demografico”, sta diventando un fenomeno planetario. Non è raro trovare piccoli paesi che chiudono, letteralmente, le scuole per mancanza di alunni. Quei pochissimi che sopravvivono al ciclone demografico sono costretti ad andare a scuola in qualche paese limitrofo, se non ha subito la stessa sorte! La gran parte dei Paesi sono vittime di due condizioni, invecchiano e non fanno figli. E questo riguarda tutto il mondo, Asia, Europa, America. Se l’allungamento della vita può essere considerato un aspetto positivo, perché si vive più a lungo, il crollo delle nascite sta provocando una serie di problemi. Ci si trova di fronte a società sempre più vecchie, senza ricambio generazionale e con grosse complicazioni finanziarie per garantire le pensioni e il servizio sanitario.

Una combinazione del benessere e dello sviluppo socio-economico vissuta nelle società avanzate, ma anche di un nuovo paradigma culturale: i figli visti più come un costo sociale ed economico che come una risorsa da alimentare. Le stime per il futuro non sono incoraggianti, si prevede, infatti, che la tendenza proseguirà per decenni. A preoccupare gli esperti, più che la diminuzione delle nascite, è il mutamento demografico. Nei Paesi ricchi, nel 2000, c’erano 26 ultrasessantacinquenni ogni 100 abitanti della fascia d’età 25-64 anni. Nel 2050 il numero, con molta probabilità, sarà doppio con effetti negativi sullo stato sociale. Ora, come si stanno industriando i Paesi a gestire società con un numero di anziani così alto? Quasi tutti stanno cercando di attuare politiche a favore della natalità, con iniziative di vario tipo, come il bonus bebè, agevolazioni fiscali, assistenza all’infanzia. Ma il sentiero da percorrere per invertire la rotta è molto arduo ed è tutto in salita. Molti però pensano che queste misure siano insufficienti.

L’Economist (settimanale londinese politico-economico), addirittura, ritiene che invogliare le ragazze molto giovani a procreare potrebbe ostacolarne le possibilità di sviluppo. Mamme giovani, secondo questa teoria, soprattutto se di reddito basso, potrebbero avere molto ostacoli nel percorso formativo. A confermare questo dato è la constatazione che se una madre americana ha il primo figlio a 35 anni, avrà un reddito doppio rispetto a quanto avrebbe percepito se avesse partorito a 22 anni. Ci si trova di fronte ad un atroce dilemma, quindi: “Pensare alla carriera o alla famiglia”, a cui si potrebbe rispondere con politiche di conciliazione di entrambi gli aspetti. In tutto questo quadro nebuloso, c’è uno squarcio di sole: gli incentivi diminuiscono la povertà e aiutano i bambini nella crescita. E’ una matassa molto difficile da dipanare, ma i tentativi vanno fatti, anche se, finora, le politiche a favore della natalità non hanno prodotto i risultati sperati.

Bisogna investire con molta forza nel welfare state, quell’insieme di politiche pubbliche con cui lo Stato fornisce ai propri cittadini, protezione contro rischi e bisogni prestabiliti, in forma di assistenza, assicurazione o sicurezza sociale e, nel caso in questione, a favore di mamme e bebè. Per il resto, una sana politica dell’immigrazione, potrebbe colmare il vuoto causato dalla natalità. Ma alla base di tutto, è necessario un cambiamento della concezione di società che si desidera. Se si continua con l’individualismo sfrenato, col successo ad ogni costo, la carriera e quant’altro, è chiaro che a formarsi una famiglia non ci si pensa proprio, perché ne rappresenta un ostacolo. Al contrario, mettere al mondo un bambino deve essere visto come una risorsa di arricchimento, un dono e non un peso. Con la dovuta partecipazione del marito/padre che spesso si defila!

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