L’economia della bellezza in Italia, che comprende imprese culturali, il Made in Italy di qualità e progetti di responsabilità sociale ed ambientale, ha contribuito in modo significativo all’economia italiana nel 2022, rappresentando il 26,1% del PIL.
Roma – Non si intende con questo termine il comparto relativo all’estetica delle persone, la cosmesi o la moda e nemmeno, come dicevano i poeti, alla “qualità di appagare l’animo attraverso i sensi”. Bensì, un progetto per diventare maggiormente consapevoli del valore di ciò che ci circonda: il patrimonio materiale e immateriale creato dall’uomo, quello offerto dalla natura e quello intimo dei propri talenti. Come recita il sito ad essa dedicato “una ricerca di nuovi indicatori economici più adatti a descrivere le società nelle sue tendenze emergenti orientate al benessere, alla sostenibilità e alla felicità. Un modo per aiutarci a maturare la consapevolezza di come la bellezza del creato e del patrimonio culturale possa essere utili in questa ricerca”.
Ebbene, tutto questo bendidio, che la sorte ha donato al suolo italico, rappresenta un particolare e solido comparto economico, di cui fanno parte le imprese culturali, del Made in Italy di qualità e quelle che si occupano di progetti di responsabilità sociale e ambientale. Più in dettaglio alla fine del 2022 il suo apporto equivaleva al 26,1% del PIL (Prodotto Interno Lordo), pari a quasi 500 miliardi di euro in moneta sonante, confermandosi in grado di stimolare l’intero sistema nazionale. Dopo il periodo della pandemia che aveva provocato una fase di stasi in tutti i settori economici della società, l’Economia della Bellezza ha concorso in maniera decisiva alla crescita, influendo per il 56% dell’aumento del PIL nel 2022 e, persino, del 33% rispetto al 2019, ultimo anno prima del Covid.
Questi dati sono il risultato del report “Economia della Bellezza” edizione 2023, a cura dell’ufficio Studi di Banca Ifis per quanto riguarda “Kaleidos”, il Social Impact Lab per sviluppare progetti ad alto impatto sociale che favoriscono la cultura dell’inclusività, presentato il 28 settembre scorso al Museo Fortuny di Venezia, in occasione della celebrazione dei 40 anni dalla fondazione della banca. Per la cronaca ricordiamo che Banca Ifis è la challenger bank italiana leader nel segmento dello specialty finance, fondata nel 1983 da Sebastien Egon Fürstenberg. Le principali attività di business riguardano servizi e soluzioni di credito alle imprese e acquisizione e gestione dei portafogli di crediti deteriorati. Le challenger bank sono banche digitali, concentrate sull’innovazione di prodotto e presentano costi e dimensioni inferiori rispetto alle banche tradizionali.
A tale scopo sfruttano a pieno titolo la tecnologia per abbattere i costi (niente filiali fisiche, meno personale, etc). Gli operatori economici nell’ambito della “Bellezza” hanno visto le loro imprese crescere del 16%, pari a 499 miliardi di euro nei confronti del 431 del 20021 e dell’8% del 2019. Quindi, un aumento più che raddoppiato rispetto al restante sistema produttivo nostrano. L’intensità dell’incremento ha riguardato tutti i comparti del settore. Ovvero, turismo culturale e paesaggistico, imprese in generale, sia quelle denominate “design-driven”, guidate da una forte componente di design, sia le “purpose driven” più attente ad uno scopo sociale.
Le prime non assecondano il mercato ma cercano di trasformarlo al punto che le persone si adegueranno al nuovo impianto socio-culturale amando il prodotto e/o servizio. Le seconde agiscono in maniera responsabile e concreta, generando impatto positivo per la comunità, l’ambiente e le persone. Tuttavia, nonostante i risultati positivi relativi all’ “Economia della Bellezza”, quando si tratta di banche, per quanto innovative come Ifis, gatta ci cova: non hanno mai fatto beneficenza, tutt’altro.