Disruptive innovation, o innovazione dirompente. Questo termine, oggi, indica le innovazioni in svariati ambiti capaci di cambiare lo status quo di un mercato o di un modello di business consolidato.
Roma – Gli studiosi di nuove tecnologie hanno sostenuto che l’anno scorso è stato importante per il settore perché si sono rafforzate nuove tendenze, già emerse all’inizio del nuovo secolo. Ci si riferisce all’Intelligenza Artificiale (IA), big data e quant’altro. Sono state definite “disruptive technologies”, ovvero tecnologie che mettono a soqquadro il mercato esistente e le abitudini dei consumatori. Ad esempio ChatGPT, un software basato su IA e apprendimento automatico sviluppato da OpenAI e specializzato nella conversazione con un utente umano.
OpenAI è un’organizzazione senza fini di lucro che compie ricerche sull’IA con lo scopo di promuovere e sviluppare un’IA amichevole in maniera che i benefici possano essere estesi a tutti. È stata fondata nel 2015 e ha sede a San Francisco, USA. Il Centro Studi Americani e Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, col patrocinio dell’Ambasciata statunitense a Roma, qualche tempo fa, ha organizzato un convegno dal titolo: The race to disruptive technologies: nations as ecosystems of knowledge (La corsa alle tecnologie dirompenti: le nazioni come ecosistema della conoscenza).
Tra i relatori, Cosimo Accoto, filosofo e ricercatore affiliato presso il Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, USA, che ha sostenuto:
“Quella dei linguaggi sintetici è una delle rivoluzioni tecnologiche più recenti e interessanti. Il software simula in maniera probabilistica conversazioni con esseri umani e consente agli utenti di generare rapidamente contenuti, con uno sforzo quasi nullo. È il compimento di un processo lungo, partito da una elaborazione del linguaggio naturale. Una tecnologia non è mai esente da rischi. Certe volte allucina o afferma cose totalmente inesistenti, bisogna stare molto attenti”.
Il rischio è di essere sommersi da una valanga di informazioni senza fonti attendibili, che si pongono come ostacoli per una ricerca di contenuti affidabili. Come può capitare a un docente che deve valutare se un testo è stato scritto dall’allievo o dall’IA. Per non parlare dei rischi sulla riservatezza delle informazioni e sul fatto che il software possa orientare o manipolare i nostri modi di agire e le nostre azioni. Secondo Accoto, l’Italia, grazie alle Università e centri di ricerca, è a buon punto, perché dotata di eccellenze e talenti.
Quello che manca è una visione complessiva del “sistema-paese“. Comunque gli aspetti etici sono tanti e di non poco valore. Ad esempio: chi fornisce i dati che da Internet passano all’IA, chi ne decide l’impiego, chi garantirà lo stato di diritto all’interno del metaverso? Sono quesiti grossi come macigni che meriterebbero una risposta e discussione all’altezza. Accoto ha concluso la sua relazione dichiarando:
“Ad oggi ci sono 4 rivoluzioni fondamentali che stanno lasciando i laboratori per diventare soluzioni ingegneristiche: biologia sintetica, computazione quantistica, blockchain e intelligenza artificiale. Stanno trasformando profondamente non solo le nostre vite personali ma anche quelle professionali, inventando i lavori del futuro e cancellandone altri, che magari non svolgeremo più”.
È in grado la nostra classe politica di affrontare simili tematiche? Allo stato attuale pare che pensino più alle nomine per le aziende pubbliche per piazzare i loro accoliti che ad avere una visione del futuro.