Anche in questo caso il primato conquistato dovrebbe farci riflettere. Siamo ultimi un po’ in tutto ma quando si parla di pensioni non siamo secondi a nessuno. In peggio, ovviamente. Le altre nazioni le cui pensioni superano il Prodotto interno lordo sono Grecia e Francia. Si spende più in assegni di vecchiaia, davvero miseri, di quanto si produce. Un allarme che suona da anni ma nessuno prende provvedimenti.
Roma – L’Italia ha la spesa per le pensioni e l’età per andarci più alte tra i Paesi OCSE! Sono decenni che si parla di spesa pensionistica molto alta per le grame finanze italiane. A questo dato di fatto si aggiunge un debito pubblico spaventosamente alto.
L’ha confermato l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse), organismo internazionale di studi economici per i Paesi ad economia di mercato, secondo cui l’Italia è il Paese con la più alta spesa pensionistica rispetto al PIL (Prodotto Interno Lordo, ovvero la ricchezza prodotta da un Paese).
Supera, infatti, il 15,5%. Sul podio di questa particolare classifica vanno Grecia e Francia. E’ un aspetto talmente importante delle moderne democrazie che nelle ultime elezioni presidenziali in Francia, il presidente Macron ha rimarcato che bisogna alzare l’età pensionistica per evitare effetti a catena in futuro. Il primo Paese non europeo si trova in 12ma posizione ed è il Giappone, mentre le percentuali più basse sono state registrate da Corea, Cile e Islanda, con valori inferiori al 3% e con diversi sistemi pensionistici.
Il Bel Paese vanta un altro record insieme alla Grecia. Sono i Paesi che nell’Unione Europea hanno l’età più alta per andare in pensione: 67 anni, due anni oltre il limite che c’è in molti Paesi europei. Ma non ci avevano raccontato che i Paesi mediterranei erano quelli con poca voglia di lavorare? Forse é talmente poca, che ci puniscono, facendoci sudare le proverbiali sette camicie di fatica fino a 67 anni!
Senza voler scendere in tediosi dettagli matematici, in linea generale la spesa pensionistica è considerata quella effettuata per le pensioni di vecchiaia e reversibilità, le cui prestazioni in moneta sonante per la terza età procurano un reddito alle persone ritiratesi dal mercato del lavoro. Oppure consentono di avere un reddito quando si raggiunge un’età pensionabile convenzionale o i requisiti contributivi necessari.
L’indicatore della spesa pensionistica è misurato in percentuale del PIL suddiviso per settore pubblico e privato. Ora quello che interessa alla gente comune, che è poi la gran parte dei lavoratori, è di arrivare alla meritata pensione con un assegno dignitoso. Persone che hanno macinato chilometri, in quanto pendolari, per guadagnarsi l’amaro pane o che pur vivendo nella stessa città dove lavorano, spesso vivono in periferia i cui servizi sono deficitari.
A nostro modesto avviso l’allungamento dell’età pensionabile è un falso problema. E’ senz’altro vero che le aspettative di vita sono cresciute grazie ai progressi della medicina e della tecnologia. Però 67 anni per andare in quiescenza, come si dice in gergo tecnico, sono tanti e ci si arriva strisciando sui gomiti, a spizzichi e bocconi.
Senza calcolare coloro, i più sfigati, che hanno lavorato dall’età adolescenziale, spesso in nero e con pochi anni di contributi versati. Della serie: cornuti e mazziati! Inoltre, all’aumento della vita media, si è aggiunta, ahinoi, una continua crescita di malattie legate alla vecchiaia.
Quindi si vive più a lungo e si consumano più medicine: sembrerebbe dunque che ad avvantaggiarsi dell’allungamento della vita media siano soprattutto le industrie farmaceutiche! C’è da dire, infine, che l’hanno proprio escogitata bene: gli uomini vivono in media 79,4 anni, la donna 84,5, anche se il Covid ci ha messo lo zampino per abbassare la media!
Circa 13 anni di pensione per l’uno, una ventina forse per l’altra e buonanotte ai suonatori. Percettori di pensioni per 30 e più anni faranno parte dell’archeologia sociale!