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Le donne e quella patologia silente dell’endometriosi

Una malattia invisibile e ‘sociale’ di cui soffrono in 3 milioni in età fertile, dice il ministero della Salute, ma il dato è sottostimato.

Roma – Una malattia “invisibile” tutta al femminile. E’ proprio il caso di dire “al peggio non c’è mai fine”. Le donne, oltre ad essere vittime di varie criticità, quali discriminazioni sul lavoro, gender pay gap, accudimento dei bambini e cura di familiari anziani che pesano, spesso, sulle loro spalle, subiscono una patologia “silente” con gravi ripercussioni sulla loro vita. Si tratta dell’“endometriosi”, ovvero la presenza di endometrio, mucosa che normalmente riveste esclusivamente la cavità uterina, all’esterno dell’utero e può interessare la donna già alla prima mestruazione (menarca) e accompagnarla fino alla menopausa. E’ una vera e propria patologia i cui sintomi sono: dolore pelvico, particolarmente in fase peri-mestruale; mestruazioni dolorose; dolore durante i rapporti sessuali, accentuati nel periodo pre e post mestruale; irregolarita’ dei cicli mestruali con perdite ematiche anomale dai genitali; dolore alla defecazione; sterilità.

Secondo il Ministero della Salute interessa più di 3 milioni di donne in età fertile. Si tratta di un dato sottostimato, in quanto solo una piccola percentuale è consapevole di soffrirne. Inoltre, la diagnosi arriva dopo molto tempo dalla sua comparsa, quando ha già prodotto i suoi effetti nocivi sulla salute psicologica della donna. La malattia è sottostimata anche perché per molto tempo i suoi sintomi sono stati sempre considerati normali e in quanti tali da “sopportare”, quindi non bisognosi di attenta valutazione clinica. In realtà si tratta di una vera e propria “malattia sociale”.

In primo luogo, questa patologia condiziona in negativo la qualità della vita delle donne. Questo vale, sia in rapporto con la famiglia, che non crede alla sua sintomatologia o non la considera meritevole di attenzione, sia nel rapporto col partner che non riesce ad adeguarsi ad una vita sessuale stravolta dalla malattia, sia nell’ambiente di lavoro con assenteismo e improduttività. Generalmente trascorrono una decina d’anni, per una diagnosi della patologia. In questo periodo, la “vittima”, per forza di cose, impara a convivere col dolore che, a lungo andare, diventa cronico e costante, fino a rassegnarsi che il male che la ostacola nella vita esiste solo nella sua testa.

Sfide, pregiudizi e la necessità di una riconsiderazione sociale della malattia

Cosa deve pensare chi dopo aver consultato decine di specialisti si sente ripetere che non c’è nulla di anomalo e i suoi sintomi sono del tutto normali? La società nel suo complesso, a tutti i livelli, ancora oggi, non valuta l’endometriosi come patologia invalidante, proprio perché invisibile. L’immaginario collettivo è abituato a vedere il dolore, a toccare con mano la menomazione e ha un’immagine del malato come un essere emaciato. Quindi, un’immagine di una donna giovane e anche bella, stride con questa visione e chi soffre di questa malattia non può essere malata, perché il “danno” non è visibile.

Da fonti del Ministero della Salute risulta che il 50% delle donne colpite da questa patologia ha un legame con la fertilità. Tuttavia, non c’è una corrispondenza diretta con la sterilità e una diagnosi preventiva con terapie appropriate può favorire una gravidanza. A volte è necessario un intervento chirurgico o le tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché l’endometriosi può incidere sulla funzionalità delle ovaie e sull’attività delle tube. Ma, soprattutto, sarebbe necessario, data la diffusione della patologia, un intervento di “salute pubblica” con presenza sul territorio della medicina di base e di efficienti consultori familiari. Perché trasformare in invalidante una patologia che può essere prevenuta, con ripercussioni sulla salute fisica e psicologica delle vittime, il cui costo graverà sul già magro bilancio del servizio sanitario nazionale?

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