Quando l’antico cede al progresso: la lenta scomparsa delle cabine telefoniche e il destino di un simbolo culturale ormai dimenticato.
Roma – Qualche settimana fa l’Ansa, l’agenzia nazionale di stampa associata, ha riportato una notizia che ha suscitato prima stupore e poi una malcelata tristezza. A prima vista sembra un fatto banale, triturato dall’incedere della cronaca e passato sotto silenzio. L’Agcom, l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni, in seguito ad una consultazione pubblica, ha deciso l’abolizione delle “postazione telefoniche pubbliche” su tutto il territorio nazionale. Ovvero, le famose “cabine telefoniche” possono essere portate al macero. È il segno dei tempi che corre a velocità supersonica e ipertecnologica, per cui quello che appartiene al passato non va conservato, ma eliminato.
Sono 18mila le cabine ancora attive e, a volte quando le si notano sembrano oggetti d’antiquariato. Ormai considerato come un servizio obsoleto, il loro declino parte, comunque, da lontano. Prima con l’irruzione nelle nostre vite dei telefoni cellulari e poi con il web. Malgrado ciò sono state usate dagli anni ’50 sino ad oggi. Gli storici del costume sociale sembrano essere d’accordo che il primo telefono pubblico a pagamento sia stato inventato nel 1889 nel Connecticut, Usa, da William Gray, così i primi telefoni furono installati nelle maggiori città degli USA. In seguito comparvero anche in altre nazioni.
Nel 1924 in Gran Bretagna furono installate le cabine telefoniche rosse, che nel tempo sono diventate oggetto di ammirazione, soprattutto da parte dei turisti stranieri, pronti ad immortalarle con la classica foto. In Italia, fecero capolino nel febbraio del 1952 in piazza San Babila, nel centro di Milano. Prime di esse, per telefonare bisognava recarsi nei bar o nelle osterie. In quel periodo funzionavano con gettoni, acquistabili nelle edicole e che sono stati utilizzabili fino al 2001, con l’introduzione dell’euro. Ma già negli anni ’70 furono introdotte le schede telefoniche, più comode rispetto al peso fisico dei gettoni. Oggi, oltre alle schede, si possono utilizzare anche monete e carte di credito. È stata la diffusione capillare dei telefoni cellulari e degli smartphone a dare il colpo di grazia alle cabine telefoniche.
Nel 2009, infatti, ne fu smantellata la gran parte delle 103 mila installate. Si iniziò da quelle che registravano meno di tre chiamate al giorno. Che dovessero sparire era già chiaro dal 2018, quando fu approvato il nuovo “Codice europeo per le comunicazioni elettroniche”, secondo cui veniva meno il concetto di “servizio universale” che ogni Stato doveva garantire ai propri abitanti. Oggi sono attivi 16073 telefoni pubblici che si sommano ai 1801 collocati negli ospedali, caserme e carceri e ai 470 installati nei rifugi di montagna. Secondo i dati dell’AGCOM il numero di chiamate, tra il 2010 e il 2017 è diminuito dell’80%, mentre dal 2019 al 2021 le telefonate sono passate a meno di una ogni tre giorni.
Beh, non poteva essere altrimenti, visto che in Italia il numero di schede SIM ammontano a circa 78 milioni su una popolazione di quasi 60 di abitanti. In base alle ultime disposizioni dovranno essere garantite nei “luoghi di rilevanza sociale”, come ospedali, caserme e carceri. Quelle nei rifugi potranno essere dismesse previa installazione di un’adeguata rete mobile. In passato è successo che si siano manifestate molte opposizioni contro la loro eliminazione. Soprattutto tra le popolazioni che vivono in montagna, composte, per lo più, da anziani e dove il segnale prende poco ed internet era poco diffuso.
Qui la cabina costituiva l’unico modo per comunicare con l’esterno. Ma sappiamo tutti come ci si comporta in certi frangenti. Quando non si è più utili, si viene portati al macero. Dimenticando che molte installazioni erano diventate simili ad un’icona culturale, introiettata dall’immaginario collettivo. E quando viene soppressa, una parte della nostra cultura è cancellata con brutalità per sempre!