Uno studio condotto dalla Scuola internazionale superiore di Studi Avanzati (SISSA) rivela come le percezioni visive siano modificate dalle immagini visualizzate poco prima.
Roma – La Scienza ha dimostrato che il famoso motto “l’apparenza inganna” corrisponde al vero. Nel linguaggio popolare si è sempre inteso con quest’espressione che una conoscenza approssimativa o una valutazione basata solo su un fattore estetico, può portare a delle valutazioni errate. È perciò consigliabile non prendere decisioni affrettate, basate esclusivamente su un primo veloce giudizio, ma approfondire la conoscenza che si ha di qualcosa o qualcuno. Ora uno studio scientifico ha reso “oggettivo” questo modo di dire. Ovvero, la percezione visiva di un oggetto dipende da quelli osservati appena un poco prima. In questo modo è stato scoperto il meccanismo neurale che fa da fondamento al processo. In pratica, i neuroni della parte visiva del cervello ricordano immagini viste precedentemente.
Lo studio è stato condotto dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, secondo cui la capacità di elaborare informazioni visive e produrre immagini è, parzialmente, influenzata dagli stimoli visivi precedenti. Ad esempio, un oggetto può sembrare più piccolo se prima di esso ne abbiamo visto uno delle stesse dimensioni. Sono stati ingaggiati 63 volontari, a cui è stato assegnato il compito di osservare in successione diversi insiemi di oggetti su uno schermo, ad esempio dei punti bianchi e neri. Le “vittime” dell’esperimento hanno dovuto valutare il numero di oggetti ogni volta che apparivano sullo schermo, le loro grandezze e quanto tempo vi restavano, corrispondente ad un centinaio, circa, di millisecondi.
Mentre i volontari venivano sottoposti al loro… “tour de force”, gli scienziati effettuavano un elettroencefalogramma (EEG). Si tratta di un esame strumentale non invasivo che permette di indagare la funzionalità del cervello attraverso l’analisi e la registrazione della sua attività elettrica. Alla fine dell’esperimento i partecipanti sono stati condizionati dalle immagini precedentemente viste. Infatti, reputavano che alcuni insiemi di oggetti ce ne fossero più di quanto fossero in realtà o di dimensioni più grandi se quelli visti in precedenza avevano queste proprietà. Inoltre, l’esame diagnostico ha evidenziato che i neuroni della parte visiva dei rimanevano attivi e ricordavano le immagini passate. Più c’erano tracce mnemoniche, maggiore era il pregiudizio percettivo nelle immagini viste dopo.
Questa è la conferma, secondo i ricercatori, che quando si è di fronte ad una nuova scena visiva, il cervello non la immagazzina da zero ma fa interagire l’ultimo stimolo con tracce di informazioni già depositate e forma una rappresentazione “intermedia”. Tutto questo si mette in moto quando l’immagine inizia a configurarsi nella nostra mente e non successivamente, allorché si trasforma in ricordo. Lo studio è un ulteriore contributo per comprendere la struttura alla base della visione e elaborazione sensoriale. Infine, si aprono nuovi orizzonti sugli studi dello spettro autistico e delle allucinazioni visive.
Come ha affermato Michele Fornaciai, ricercatore della SISSA e coautore dello studio:
“Secondo un’ipotesi ancora da esplorare, alcune persone con disturbi dello spettro autistico potrebbero presentare un deficit nell’utilizzo delle informazioni pregresse, comprese quelle visive. Per chi soffre di allucinazioni il problema sarebbe opposto. In questo caso l’ipotesi è che il cervello possa fare troppo affidamento su previsioni interne basate su percezioni visive passate”.
La speranza è che ci possano essere in futuro terapie adeguate per questi disturbi, che causano una serie di criticità a chi ne è colpito e alle loro famiglie, che spesso non sanno a quale santo votarsi, non avendo punti di riferimento efficaci nel Servizio Sanitario Nazionale.