Lavoro, meno stress ma più insoddisfazione. E i giovani e le donne pagano il prezzo più alto

Il report “People at Work 2025” fotografa una realtà italiana ambivalente: cresce la serenità, ma cala la soddisfazione. A farne le spese sono le categorie più fragili.

Sul luogo di lavoro decresce l’apprensione ma aumenta l’insoddisfazione. Il lavoro è stato, sin da quando l’uomo è stato “condannato” ad esercitarlo per sopravvivere, fonte di preoccupazioni di varia natura. Una volta era duro, faticoso, veloce e incalzante. Oggi ha cambiato i connotati: è instabile, poco o per niente riconosciuto, emarginato, sollecitato a raggiungere l’obiettivo.

Eppure nonostante il contesto, l’Italia si ritrova ad essere meno preoccupata ma più insoddisfatta professionalmente. Un quadro ambivalente che è emerso da “People at Work 2025”, un report di ADP Research (un think tank che si dedica a studiare e comprendere le tendenze e i cambiamenti nel mondo del lavoro) che analizza le prospettive dei lavoratori di tutto il mondo, basandosi su dati raccolti da quasi 38.000 persone in 34 paesi. 

Il report offre una visione globale della forza lavoro, includendo opinioni di dipendenti di vari settori, livelli di istruzione, tipi di ambiente lavorativo (presenza fisica o remoto) e competenze. Un aspetto significativo, forse, dei postumi della pandemia. Ebbene, il lavoratore italiano si sente meno logorato, infatti, rispetto al 2023, in cui la percentuale era del 17%, oggi è del 9%. Ma ecco subito il rovescio della medaglia: il grado di soddisfazione sul luogo di lavoro ha raggiunto solo il 26% e il 19% si sente oberato dai carichi di mansioni. Non basta allentare la tensione sul luogo di lavoro per vivere in un ambiente più rasserenante. Si ambisce a un contesto in cui crescere professionalmente e umanamente e sentirsi parte di un gruppo.

Il lavoro da remoto ha prodotto alcuni benefici, come la riduzione della mobilità, ma anche criticità: sentirsi lontano dal gruppo e avvertire un senso di controllo maggiore da parte del management

Ormai è conclamato che la pandemia ha accelerato le trasformazioni dell’organizzazione lavorativa. E’ stato introdotto, infatti, il lavoro da remoto che ha prodotto alcuni benefici, come la riduzione della mobilità, ma si sono palesate anche delle criticità: sentirsi lontano dal gruppo e avvertire un senso di controllo maggiore da parte del management. Questi due aspetti hanno ottenuto l’effetto contrario: riduzione della motivazione e produttività, che ha riguardato il 32% a livello globale e il 28% nel nostro Paese. E come sempre come in un copione già scritto che si ripete sempre, a subire le conseguenze maggiori sono le categorie più fragili: le donne, giovani e precari. Non si sbaglia mai!

Sul lavoro le donne, pur sentendosi più stressate, sono anche più motivate

E’ stato rilevato che le donne, pur sentendosi più stressate, sono anche più motivate. Secondo gli autori questa contraddizione può essere il frutto di una loro accentuata resistenza a condizioni difficili e di assegnare molto valore a quello che fanno, nonostante le insidie. Proprio come un atleta che raggiunge il traguardo pur partendo svantaggiato per poi assaporare più intensamente il sapore della vittoria. Ma sono i giovani i più vulnerabili. Per il loro futuro domandano flessibilità, equità e coinvolgimento prima, ma spesso trovano solo muri invalicabili che depotenziano il loro coinvolgimento emotivo.

Dal report si evince che ridurre lo stress è la “conditio sine qua non”. Ma poi bisogna andare oltre. Ossia verso la costruzione di ambienti lavorativi in cui gli individui siano messi in condizioni di offrire il meglio di loro stessi, anche perché un ambiente salubre è più produttivo per l’azienda stessa, riducendo anche la voglia di cambiare. Ma si sa che la maggioranza degli imprenditori non guarda oltre il proprio naso, pensando solo all’immediato, non accorgendosi dei cambiamenti. 

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