Il lavoro ibrido è una priorità per i giovani, ma le aziende italiane restano ancorate al passato. Una rigidità che potrebbe costare cara all’economia del Paese.
Negli ultimi tempi fioccano le indagini sul lavoro ibrido. Se ne conducono talmente tante da correre il rischio che una possa smentire l’altra. Col termine lavoro ibrido, mutuato dall’inglese “hybrid work”, si intende una modalità di lavoro che comprende sia la presenza dei dipendenti negli uffici, sia l’attività in remoto, ovvero da qualsiasi luogo in cui vi sia una connessione internet e un dispositivo quale smartphone, tablet e personal computer.
Nonostante sia una delle condizioni dei giovani alla ricerca di lavoro, quasi l’80% delle offerte è in presenza, il 20% ibrido e totalmente da remoto solo lo 0,7%. Questi dati sono stati diffusi da Joinrs, una nota piattaforma digitale di selezione del personale per i Millennials (i nati tra gli inizi degli anni ’80 e la metà dei ’90) e la Generazione Z (quella successiva, tra la seconda metà degli anni ’90 e il 2010) e grandi e medie imprese. Si è diffusa in Europa e nell’America del Nord e meridionale, con oltre un milione d’iscritti. E’ una delle prime piattaforme ad utilizzare l’Intelligenza Artificiale (IA), attraverso cui vengono passati al setaccio gli annunci e qualsiasi tipo di informazione per formare un annuncio semplice, chiaro e trasparente. E’ stato dipinto un quadro del contesto italiano se non proprio a tinte fosche, sicuramente sbiadito. Su 10 offerte di lavoro meno di 3 prevedono una parvenza di lavoro a distanza. Dato in controtendenza ai desideri dei giovani che per il 37% anelano al lavoro ibrido e il 38% totalmente da remoto.
A confermare che aziende e aspiranti lavoratori non remano nella stessa direzione, ma percorrono strade contrapposte che non si incontrano mai. La refrattarietà delle aziende è frutto di una visione conservatrice, secondo cui si produce se si è in presenza e si può controllare il processo produttivo. Inoltre questa resistenza è sintomo di un’assenza d’investimenti nelle nuove tecnologie utili per reggere il confronto con la modernità. Si difendono strenuamente vetuste dinamiche imprenditoriali fino ad annullare la stessa competitività sul mercato. L’anomalia delle aziende italiane, rispetto a quelle degli altri paesi più industrializzati, è la mancanza di flessibilità, che invece rappresenta il focus per le imprese straniere.
Se non si cambia rotta si rischia di non essere all’altezza degli altri Paesi in termini di innovazione e produttività, oltre a non sedurre i giovani talenti che cedono volentieri al… fascino esterofilo. E’ una criticità atavica della struttura sociale ed economica del Belpaese, dove si fatica ad accettare le novità che una società in perenne evoluzione propone ad ogni piè sospinto. Si resta avvinghiati a vecchie logiche di potere, rendendo affannosa la vita stessa dell’azienda. Questa visione dell’economia e di cosa debba rappresentare un’azienda nella società, trova solido sostegno in una politica economica sorda alle richieste dei più giovani e miope nei confronti delle realtà emergenti.
Non è stato, finora, preso in considerazione il nodo generazionale. Gli appartenenti alla Generazione Z nel 2030 saranno, secondo le stime, oltre il 58%, la maggioranza della quale con elevati titoli di studio. Ora se le aziende non accettano di rivedere il proprio processo organizzativo e manageriale, saranno completamente ignorate e i giovani emigreranno. Qualora ci fosse qualcuno che per una serie di ragioni, resterà in patria, dovrà… accontentarsi di vecchi arnesi a tutto svantaggio personale e della collettività! E’ questo che si vuole?