Il mercato del lavoro attraversa una fase davvero difficile nel nostro Paese e in altri dell’Europa Meridionale. Nel Sud Italia il problema si fa ancora più pressante e senza soluzioni.
Roma – È emergenza lavoro. Serve una seria e credibile riforma di questo mercato e l’attuazione di strategie nazionali di rilancio, in attesa di politiche per la famiglia che consentano di rispondere al problema di un invecchiamento della popolazione che è allo stesso tempo invecchiamento della popolazione lavorativa, con tutte le ricadute del caso sul tessuto economico-produttivo.
I dati Eurostat che sono stati recentemente pubblicati mostrano una situazione variegata nel Paese. In Campania, Calabria e Sicilia, l’indice di debolezza occupazionale è superiore al 40%. Ci sono almeno 4 cittadini su 10 che vorrebbero lavorare, altri che vorrebbero lavorare di più, altri ancora che preferiscono percepire il reddito di cittadinanza e poi vi è chi attende variegate opportunità.
Insomma, le regioni meridionali dell’Italia sono citate dall’Istituto di statistica europea come esempio di maggiore criticità. “Le quote più elevate di inattività del mercato del lavoro, pari ad almeno il 24% della forza lavoro allargata, si concentravano in 7 regioni in Spagna e in Italia, 6 regioni in Grecia, nonché le 5 regioni più periferiche delle regioni della Francia”. Complessivamente, nel Paese, questa debolezza del mercato del lavoro è in continua crescita dal 2019, quando italiani e italiane, incapaci di far coincidere le necessità lavorative proprie con quelle aziendali, erano 6,1 milioni.
In due anni si sono aggiunte oltre 200mila persone, con un incremento di 60mila unità tra il 2020 e il 2021. Si è in una situazione critica, poiché nell’offerta e domanda di lavoro, l’Italia ha un problema. Infatti, tra i disoccupati veri e propri, quanti cercano senza trovare, tra chi vorrebbe lavorare più del part-time, chi potrebbe farlo ma preferisce non farlo e chi invece cerca ma non per l’immediato, ci sono oltre 6,3 milioni di uomini e donne di età compresa tra i 15 e 74 anni a non essere correttamente integrate nel mercato del lavoro.
Questa viene definita “debolezza” del mercato del lavoro, che nel 2021 tocca il 22,8% del totale della forza lavoro potenziale italiana. Un dato superiore alla media dell’Ue, dove il tasso si ferma al 14%. Si è di fronte a un’altra vera sfida per l’Italia e l’eurozona, già alle prese con l’invecchiamento della popolazione in età da lavoro.
I dati, peraltro, richiamano l’attenzione dei governi sulle azioni che servono per un mercato del lavoro più efficiente e in grado di rispondere alle sfide delle transizioni verde e digitale, che richiederanno qualifiche e creazione di un lavoro che ancora fa tanta fatica a mettere d’accordo domanda e offerta. Non si può, per esempio, trascurare che vi è un problema di prospettiva già in atto. Le persone attive sono sempre meno e sempre più anziane. Questo incide sulla produttività, vale a dire sulla mole di lavoro svolto a parità di turni. Si pone, quindi, un problema non solo di quantità, ma di qualità, poiché la produttività incide sull’efficienza del processo produttivo.