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L’autonomia differenziata spacca il governo. E non solo

L’autonomia differenziata che nasce da una proposta del ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli consentirà alle regioni a statuto ordinario di chiedere allo Stato la possibilità di legiferare su materie non di sua potestà esclusiva come sanità e istruzione. Un disegno di legge che, secondo l’opposizione, dividerebbe definitivamente l’Italia in due.

Roma – Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è ancora lontano dalla approvazione. Ed è fonte inesauribile di discussione e diffidenza. Con essa si vuole provvedere alla definizione dei “principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e delle relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”.

Nonostante l’iter parlamentare del Ddl sia ancora lontano dalla sua conclusione, l’impatto che questa proposta normativa potrebbe avere sul sistema sanitario italiano, e non solo, sembra essere dirompente. Il disegno di legge non è altro che la determinazione di principi e procedure per l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione. Esso concede la possibilità che, su iniziativa di una Regione, questa possa negoziare maggiori forme di autonomia con lo Stato riguardo una o più materie pubbliche. Tra queste materie è annoverata anche la tutela della salute.

La concessione di una o più “forme di autonomia” è, però, subordinata alla determinazione di quelli che vengono chiamati LEP, ovvero “Livelli Essenziali di Prestazione”, criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. In Italia esistono già da molto tempo forme di autonomia differenziata a livello regionale, sancite dalla Costituzione nell’articolo 116, ai commi 1 e 2. Stiamo parlando delle Regioni a Statuto Speciale, le quali sono dotate di particolare autonomia: legislativa, amministrativa e finanziaria.

La sanità potrebbe risentirne del nuovo disegno di legge

A differenza delle Regioni a Statuto Ordinario quelle in questione si sono dotate di uno statuto adottato con legge costituzionale. Dunque, sono dello stesso rango delle norme della Costituzione stessa. Ma il problema di avere un’Italia a due velocità persiste ed è un vero campo di scontro politico. L’autonomia differenziata è stata spesso erroneamente confusa con la sussidiarietà. La proposta del ministro Roberto Calderoli, che rivoluzionerebbe gran parte del nostro apparato legislativo e amministrativo, arriva in un momento di forte rischio di disgregazione, in cui il Paese è chiamato a far fronte a tante sfide, nazionali e mondiali e, proprio, per questo ha bisogno di unità e coesione, con un processo di riforma largamente condiviso.

Attenzione, dunque, ad applaudire prima di conoscerne realmente gli effetti e, soprattutto, ad interpretare i Lep come l’insieme di tutti i servizi offerti dal settore pubblico in una particolare funzione. La ragione è semplice. Se si attuasse davvero questo sistema, dovendo garantire sempre e comunque il finanziamento integrale di tutti i servizi, il governo centrale perderebbe il controllo di gran parte della propria spesa. Una cosa che nessun governo può permettersi, figuriamoci il nostro.

Non a caso, nella sanità, nonostante la definizione più che ventennale dei Lea, l’approccio è strettamente legato alla strategia gestionale, poiché prima lo Stato definisce quanto può permettersi di spendere sulla salute pubblica in un determinato anno, poi redistribuisce le risorse tra le Regioni. Il legame tra il costo dei Lea e il finanziamento regionale rimane sullo sfondo, ma non è certo automatico.

Mons. Domenico Battaglia, arcivescovo della città metropolitana di Napoli

L’autonomia differenziata delle Regioni, almeno la riforma promossa da Calderoli, “lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani – afferma Mons. Domenico Battaglia, arcivescovo della città metropolitana di Napoli. Per questo anche la Chiesa non può tirarsi indietro, senza temere l’accusa di “politicismo”, perché la Chiesa prende posizione, ma quella dei poveri”, conclude l’arcivescovo metropolita. Ma, Mons. Battaglia, alza ancora il tiro e critica lo spirito della riforma, che lascerebbe ampi poteri alle Regioni e, secondo diverse stime, aumenterebbe le diseguaglianze interne al Paese.

“C’è un’aria strana che si muove nel cielo, ha affermato l’arcivescovo, e questa va nella direzione della povera gente, resa ogni giorno più povera da una certa politica che non la considera, se non per la convenienza, magari elettorale”. Parole dure, su cui riflettere.

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